CALABRIA

SCRITTORI DELIESI - Felice SOFFRE'



Il Poeta visto dall'artista calabrese Michele Guerrisi


Felice Soffrè, poeta e letterato, nacque in Delianuova (Reggio Calabria) il 22 giugno 1861 dall'avv. Domenico e da Mariannina Parisi. Appartenne a famiglia antica. Il padre, avvocato, che aveva compiuto gli studi a Napoli - dove si era legato d'amicizia col Settembrini - aveva mantenuto rapporti con i patrioti reggini ed aveva dato aiuti a Garibaldi ad Aspromonte. Il poeta quindi crebbe in un ambiente di elevati sentimenti di Patria. Colpito da un grave indebolimento visivo in età giovanissima, non potè continuare gli studi, da autodidatta arricchì la sua cultura, estinguendo la sua sete di sapere attraverso le letture che gli venivano fatte da familiari ed amici. Fu collaboratore di importanti quotidiani e periodici letterari, sui quali furono pubblicate molte sue liriche. Diede alle stampe cinque volumi di versi: "PRIMI VERSI" (1884),"PRIMOLE" (1892),"VERSI" (1900),"FRAGILI" (1908) e "ULTIME FOGLIE" (1920).Lasciò inoltre numerosi componimenti inediti, tra cui liriche dialettali calabresi. Diverse antologie comprendono le sue opere. Francesco Cilea, il grande musicista di Palmi, a cui fu legato da vincoli di parentela e di affetto fraterno, musicò con note sublimi le liriche :"NEL RIDESTARMI","VERRA'?",ACQUE CORRENTI", e "VALLE FIORITA" che furono eseguite con successo in concerti tenuti in varie città d'Italia e trasmesse per radio. Morì in Scido l'8 ottobre 1927 dove è seppellito nella cappella di famiglia.





La tomba dove è sepolto il Poeta in Scido




PLENILUNIO

Sbocciò dai calabri
monti la luna,
e mare ed isola
splendon di là:
ma la Calabria
rimane bruna;
Scilla,come aquila,
nell'ombra sta.

O mia Calabria,
fiera,sdegnosa,
che magna dissero
le genti di un dì,
se gli altri splendono,
quella radiosa
luce,ricordalo,
da te sortì.


(di Felice Soffrè - da volume di poesie " FRAGILI",edito a Catania nel 1908)


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  LA POESIA DI FELICE SOFFRE'


La nostalgia dolente della giovinezza che per lui era stata la luce: questo il grande tema che percorre il filo della sua autentica vocazione di poeta. Aveva avuto poco tempo, durante la sua adolescenza e per un breve periodo della giovinezza, di riempirsi gli occhi della visione del mondo, della sua terra, delle persone a Lui care, dei paesaggi del suo Aspromonte, dei luoghi nativi, della natura che si scopriva al suo sguardo di poeta, e lo aveva fatto senza presentimento  che una malattia agli occhi lo avrebbe privato della vista; ma in quel breve tempo i suoi occhi avevano contemplato con raccolta pensosità tutto ciò che poi Egli avrebbe risolto in canto. Il suo grande cuore fece il resto.
L'opera di Felice Soffrè presenta una varietà di temi che - pur componendosi liricamente in un tessuto metrico in prevalenza tradizionale - rivelano i segni anticipatori di una modernità e di una inquietitudine che sono i germi e i grandi motivi della poesia moderna e contemporanea.
Se privilegio della poesia è di tradurre in canto il sentimento di una realtà vissuta e di tradurlo per tutti, quella di Felice Soffrè è poesia genuina che si fa interprete di tale privilegio.
L'infanzia, la natura, i paesaggi della sua giovinezza, i ricordi struggenti di un mondo e di un'età che rimasero imprigionati nella sua anima e nelle sue pupille, sempre più avide via via che si avvicinavano alle tenebre della cecità, rimbalzano come motivi di una vita interiore sofferta e affidata alla voce della poesia.
Se la cecità era stata la prigione fisica della sua esistenza, il Poeta ritrovava la libertà nel canto spiegato, trasfigurando in ritmi i temi del suo dolore - che era divenuto più carico di sofferenza in seguito alla morte del più giovane dei suoi figli, Alfonso, caduto durante la prima guerra mondiale.
Si fanno luce anche nell'insieme della sua produzione lirica motivi di poesia patriottica e civile in cui il sentimento delle idealità patrie si riflette, come in gran parte della letteratura poetica dei suoi contemporanei, in termini di sincero entusiasmo. E non mancano in essa atteggiamenti di una spontanea e sentita religiosità.
Un'indagine critica sui rapporti tra il mondo originario del Poeta; la Calabria e la cultura del suo tempo; tra la poetica prevalente del secondo arco dell'ottocento ed il primo trentennio del novecento - proprio nel periodo in cui Pascoli e D'Annunzio riassumevano i modi e e nuove esperienze di crisi della civiltà del mondo moderno; tra quella poetica, che annunciava nuove forme di introspezione e nuovi gusti, e l'autenticità del mondo lirico e dell'ispirazione di Felice Soffrè - anche se preferibilmente espressi in forme e strutture tradizionali - ci propone, senza alcun rischio, la scelta di una misura nella quale incidono direttamente il temperamento idillico e virgiliano del nostro Poeta, i suoi studi giovanili e successivamente le sue esperienze di autodidatta, il mondo fiabesco e primigenio della sua terra, le tradizioni in cui la storia ed imiti si intrecciano in una perenne e non contaminata vicenda di poesia universale. In questa misura che comprende e riassume i caratteri e le vibrazioni dei componimenti lirici di Felice Soffrè si collocano la testimonianza e l'interpretazione del Poeta che risolve le sue emozioni in accenti e valori di canto.
I risultati che Felice Soffrè raggiunge vanno molto al di là dei limiti di una eventuale collocazione storica della sua opera  nel clima e nell'orbita della poesia pascoliana, anche se talvolta reminiscenze ed echi appaiono sporadicamente in taluni componimenti. Appunto per quel prevalente e costante legame che lo unisce al suo mondo originario, tormentato e carico di sofferenze, ai personaggi ed ai paesaggi della sua terra, il Poeta rimane estraneo alle suggestioni facili delle correnti a Lui contemporanee.
Certe forme semplici e serene che si compongono in ritmi distesi e palpitanti di umana bontà, talune esplosioni gioiose di fronte alla generosa natura delle sue montagne e delle sue colline, tra terra e cielo, subito represse da un velo di rassegnata ,ma forte, malinconia; i ricordi dell'infanzia, i ruscelli e i sentieri, gli alberi e i boschi che gli avevano riempito l'anima di attese e di speranze; l'innocenza dei bimbi che Egli predilesse perchè gli riportavano con la loro presenza gioiosa il sentimento del perpetuo rinnovarsi della vita : tutti questi temi ricorrenti nella sua operosa fatica di poeta conferiscono alla produzione lirica una particolare ed originale dimensione che merita, nella storia della poesia del primo novecento, un posto diverso da quello che, per l'innata modestia dell'Autore, aveva finora tenuto.

Dino GENTILOMO





Delianuova - Palazzo Soffrè  (oggi De Giorgio)



Quì Francesco CILEA, ospite del poeta Felice Soffrè (nel 1900 pubblicò "Versi" con la prefazione di Giovanni Pascoli) compose il terzo atto dell' "Adriana" e trasse l'ispirazione per il lamento di Federico nell' "Arlesiana".




AL MIO VECCHIO CANE

Non so perchè d'un uomo assai crudele,
si soglia dire: è un cane!
Somigliassero a te, barbon fedele,
tante coscienze umane!

A te sì mite e che tradir non sai,
a te, che dal mio lato
non un istante ti distacchi mai,
perennemente grato.

Solo, un giorno, o barbon, mio vecchio amico,
(che tristissimo giorno!
Si risolleva in me lo sdegno antico,
se a pensarci ritorno)

passava un cagnolin magro, sparuto
col suo tesoro : un osso!
E gliel rubasti tu, tu ben pasciuto,
avventandoti addosso.

Io vidi il tuo feroce atto; il tapino
che tremava, guardai;
e, fattomi con ira a te vicino,
uomo t'ingiuriai.


(Felice Soffrè - dal volume "VERSI" editore N. Giannotta,Catania 1900)




SABATO DI PASQUA

Alleluja, alleluja!...Ecco diffondesi,
lieto per l'aria il suon delle campane,
il suon che al vecchio Faust
evocava nel cor gioie lontane.

Alleluja, Alleluja!...A me cui spegnere
la fè non seppe questo sozzo mondo,
non evoca, ma suscita
gioie nel cor lo scampanio giocondo.

E ripensando a color che soffrono
spero che un giorno, forse non lontano
l'amor e la giustizia
rifioriran sul vecchio tronco umano.

Allelujia, alleluja!...Ecco germogliano
come speranze le nuov'erbe al prato,
e le viole auliscono
sotto il bacio d'april ch'è ritornato.

Alleluja, alleluja!...Oh si ,diffonditi
suono che parli di perdono ai cuori,
possano almeno gli uomini
per un giorn'obliar odio, e dolori.


(di Felice Soffrè - 1893 - Tratta dalle poesie inedite della maturità)











NELLA VITA

Ciascun ha un invisibile telaio
in cui da trama i desideri fanno
e da spola il pensier. Va tutto l'anno
su e giù la spola se uno è triste o gaio.

Sol che nella tristezza il filo è nero,
con cui la spola séguita il ricamo;
ma che importa? Il tessuto, anche se gramo,
si dilunga invisibile e leggero.

O dolci nomi che nei cuori state
e come in una serra ivi fiorite,
quante volte per voi furono ordite
le trame del destino scompigliate?

Poi che il destino un monellaccio pare;
di diverte a disfar ciò che facciamo:
e noi del ragno la pazienza abbiamo,
e rifacciamo ciò ch'ei suol disfare.


(di Felice Soffrè - dal volume di poesie " FRAGILI ",Catania 1908)





VUI  LU SAPITI

Cu vi detti u culuri, o paparina,

chi pariti sangu ammenzu all'erba?
cu duna u virdi quand'ancora è acerba
e lu giàlinu doppu, a la racina?

Cu, se si sicca di li nuvolati,

lu celu sgumbra cu la scupa d'oru,
ed a li prati porta lu ristoru
squagghiandu di la notti li jelati?

Arburi, hiuri, tutti lu sapiti...

esti lu suli; e quandu vi dassati
pè lu duluri, vui l'umbra allungati,
pè lu duluri ca no' lu viditi.


( di Felice Soffrè, poesia dialettale composta nel 1925)





Il poeta Felice Soffrè mantenne una fitta corrispondenza con note Personalità della cultura e dell'arte, con scrittori e critici tra cui :


Antonio ANILE
Paul BOURGET
Francesco CILEA
Edmondo DE AMICIS
E. DE MARIA
Vito E. GALATI
Michele GUERRISI
Francesco IERACE
Vincenzo IERACE
Eugenia LEVI
Bruno PALAIA
Michele PANE
Giovanni PASCOLI
Luigi PARPAGLIOLO
A. RAGUSA MOLETI
Mario RAPISARDI
Francesco Sofia Alessio.










A LA LUNA

Luna cerusa comu na malata
chi di lu fundu di l'abbissu sali,
e lenta, lenta,comu condannata
di l'atra vanda 'ntra  l'abissu cali,

chi storia cunti di passati peni,
chi scunsulata storia di duluri?
Quandu tu scumparisci e l'arba veni,
sunnu chini di lagrimi li hiuri!

(di Felice Soffrè - Poesi dialettali - anno 1926








VERSI FATTI IN OCCASIONE DELLA APERTURA DELLA SOCIETA' OPERAIA DI DELIANUOVA

Oh Delia mia! abiette gare, invidie,
vile ambizion, sol questo travagliava
le menti insane dei tuoi cari figli
te straziando, o bella patria mia.

Or più sereni giorni pare che volga
nel puro azzurro il sole, e già innalzato
veggo il vessillo della fratellanza.

Veggo i toi figli stringersi la mano
e intendersi col cor; si miei fratelli!
Che giova l'inasprir d'insulse lotte
il tramite scabroso della vita?

No, stringiamoci tutti, e in un amplesso
togliam dal nostro petto ogni ira antica.
Siam degni figli della patria nostra.

Stender la mano pietosa e confortare
ogni fratel che soffre: è questa l'opra
a cui mirar dobbiamo. I nostri cuori
si confondono adunque e così stretti
battono insieme di fraterno amore,

Cade la notte; entriam in quel tugurio:
nude pareti piene di fissure;
d'onde sibila triste un freddo vento.

Non un sol tizzo acceso al focolare.
E pur fa freddo, e pur quella fanciulla
che sta lì rannicchiata in quel cantuccio
come vorrebbe riscaldarne al foco
le sue gracili membra intirizzite!

Ma come fare? Ella è infermiccia e il giorno
fa tanto freddo fuori! Oh! su fratelli,
soccorriamola noi, facciam che tosto
in quell'esile corpo malaticcio
torni la vita rigogliosa. E' scorso
già lungo tempo ed anche adesso è notte;
entriam nella casetta : un vivo foco 
schioppetta allegramente; or la fanciulla
è fatta donna e stringe fra le braccia
una vezzosa creatura. Oh! Come
le vuol bene; sentiam cosa le dice:

Prega figliolo mio, prega il Signore
come ti insegnerà la mamma tua:
fammi Dio mio che io cresca sempre sano
e col lavoro sostenga i genitori,
fa che torni l'april pieno di frutta
e le zolle si smaltino di fiori,
di quei bei fiori, che a me piacciono tanto
e poi, Signor deh! fa che i miei fratelli
vivan sani e felici, essi han soccorso 
la mamma mia, che siano benedetti!

E non sentite voi ricompensata quella nobile azion che avete fatta?
Si stringiamoci e insieme scrutiamo i cuori,
vediam chi soffre, confortiam gli afllitti
e quando noi morremo e quando mesti
sul cener nostro olezzeranno i fiori,
invieranno i posteri un saluto
alla nostra memoria, e il nostro nome
pronunzieranno con immenso affetto.

(di Felice Soffrè)





FRA GLI UOMINI

Stagnano in cuor le lagrime,
se asciutte son le ciglia nel dolore;
ma a chi le vede?...Per poterle scorgere,
bisogn'avere un cuor come quel cuore.

E lui vedendo placido,
dritto, sereno, fare la sua strada
non atteggiato un solo istante a vittima
e dentro gli occhi senza rugiada,

vuoto ha il petto, pensavano,
passa tra il fuoco delle gioie infrante
come la salamandra; e non sapevano
quanto scottin le lagrime non piante.

D'improvviso, ancor giovine,
egli morì; gli amici pria d'andare
al club, a caccia, alle faccende solite,
voller la cara salma salutare.

Che sospiri...che lagrime!
- Ma di ch'è morto? - dissero al dottore.
Questi in un ton che parve di rimprovero,
e a ciglia asciutte, mormorò : - Di cuore.

(Felice Soffrè - da "ULTIME FOGLIE" ,Editrice Ausonia,Roma,1920)








La scultura in bronzo di Soffrè che si trova nella Scuola elementare di Scido









IN NOVEMBRE

Babbo, un altro anno se ne va!...E' un lento 
piover di foglie, e sulle nude rame
scricchianti come ossame,
i vuoti nidi si disfanno al vento.

E da un altro anno voi dormite in fondo
alla chiesetta, e da un altro anno in core
cresce, cresce il dolore
d'essere solo in questo triste mondo.

E intanto passa e in folla va la gente
a lagrimar sulle tombe fiorite,
ma voi, babbo, dormite
lontan lontano, solitariamente.

E pure se dormiste qui in un canto
tra le tombe di questo cimitero,
io non verrei davvero
insiem cogli altri a recarvi il mio pianto.

No, non mi piace in pubblico mostrare
le mie lagrime ardenti; il triste core
del suo sacro dolore
spettacolo alla gente non vuol dare.

Verrei da solo; ed il capo chinato
sul vostro bianco sepolcreto appena,
io sfogherei la piena
che mi trabocca dal cor lacerato.

Vi direi quanto soffro...e quanto ho pianto
dal dì che mi lasciaste, e vi direi
che i   soli voti miei
son di posarvi eternamente accanto!

                                                                    
di Felice Soffrè - Dalla raccolta " PRIMOLE" - Tipogr. Editrice la Società Laziale,1892.      




O R G O G L I O      

Oh! la fierezza di serbar nobile,
onesto, buono fra la trista gente.
Oh! la gioia a guardarsi in fondo all'anima
e non dover rimproverarsi niente;

mentre ogni giorno è una nova perfidia
di qualche amico ritenuto schietto,
mentre ogni giorno cade giù la maschera
ad un Tartufo ch'esigea rispetto.

Anime schive dalla lotta; semplici
anime, che del mondo paurose
vivete in pace nella solitudine,
del vizio ignare, pie, ma accidiose,

io la vostra virtù non so comprendere,
nè l'ideale vostro. Si desìa
l'azzurro e il sol se non si vide piovere?
se non si vide sudicia la via?


Felice Soffrè - Dalla raccolta " VERSI" - Editor Nicolò Giannotta,Catania,1900 con prefazione di Giovanni Pascoli