CALABRIA

L'ISOLA GRECANICA DELL' ASPROMONTE

 

SLI  - SOCIETÀ DI LINGUISTICA ITALIANA

I DIALETTI E LE LINGUE DELLE MINORANZE DI FRONTE ALL'ITALIANO

ATTI DELL'XI CONGRESSO INTERNAZIONALE DI STUDI Cagliari, 27-30 maggio 1977

a cura di FEDERICO ALBANO LEONI

BULZONI ROMA 1980

PAOLO MARTINO (Roma)


L'isola grecanica dell'Aspromonte. Aspetti sociolinguistici


Emì ìmmasto to Misimèri tu Misimrìu tis Italìas

(Noi siamo il Mezzogiorno del Mezzogiorno d'Italia)




Piani di Carmelìa (Delianuova)


Questa comunicazione intende innanzitutto tracciare un profilo sommario della situazione sociolinguistica attuale della minoranza greca dell'Aspromonte tramite una ricognizione dei dati, assai frammentari, a disposizione e presentare quindi, ad integrazione di questi, i primi risultati di un'inchiesta condotta sul terreno tra il novembre 1976 e l'aprile 1977. Scopo precipuo dell'inchiesta è stato l'accertamento della reale consistenza della grecofonìa, della sua distribuzione geografica e sociale e dell' a t t e g g i a m e n t o dei parlanti di fronte ai tre codici in contatto effettivamente adoperati. Particolare attenzione si è rivolta ai ragazzi della fascia dell'obbligo scolastico frequentanti le tre classi della scuola media inferiore. Infatti, a causa di due fenomeni strettamente interrelati (recente incremento della scolarizzazione e regressione del greco) (1), si può dire che questi ragazzi rappresentino la prima generazione effettivamente e globalmente diglotta (italiano e dialetto romanzo).

L'inchiesta si è articolata nella somministrazione di un questionario nelle scuole medie inferiori di Roccaforte (alunni di Chorio di Roghudi, Chorio di Roccaforte e Roccaforte),Condofuri Superiore (alunni di Gallicianò e Condofuri), Condofuri Marina (alunni di Amendolea, Lugarà, S. Carlo), Mèlito Porto Salvo (alunni di Roghudi) e Bova Superiore. Il questionario sollecitava informazioni sulla situazione di famiglia, in particolare sulla residenza, provenienza, professione ed attività lavorativa dei genitori (con attenzione al fenomeno emigratorio), sul comportamento linguistico dei familiari, degli amici e dei compaesani. Alcune domande (Quali lingue si parlano nel tuo paese? - Quale lingua preferisci? - Perché? - Gradiresti l'insegnamento del greco a scuola? - Perché? - Per quali motivi pensi che il greco non si parli più come una volta?) tendevano a saggiare l'atteggiamento linguistico dei soggetti studiati.

1 Si preferisce usare qui la denominazione greco dell'Aspromonte o, più brevemente, greco, sia per segnalare la diversità geografica, linguistica e storica con il grico salentino sia per l'inadeguatezza dei termini finora usati: il bovese è in realtà una varietà marginale rispetto alle varietà di Gallicianò e Roghudi; ma soprattutto per adeguarsi all'uso che oggi si fa tra la popolazione alloglotta. 

La denominazione grico, grici, di cui parla il Rohlfs (1972, p. 124 sgg.) sulla base di un Γρίκος presente in un diploma greco-calabro dei 1131 segnalato dall'Alessio (Saggio di toponomastica calabrese,Firenze 1939, p. 153), non è conosciuta nella zona alloglotta aspromontana, dove, tutt'al più, si usa il termine italiano greco. Cf. O. Parlangeli, Per l'etimologia di grico «Greco del Salento», «Glotta», 40 (1968), pp. 202-210; Idem, «Aevum», 23 (1949), pp. 170-174; G. Rohlfs, Oskisch *grēcus (*grīcus?)= lat. graecus?, «Glotta», 39 (1960-61), pp. 268-273.


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Un'altra sezione del questionario riguardava invece il comportamento linguistico degli stessi, indagando, attraverso opportuni procedimenti, il grado di conoscenza dei due codici subalterni: il dialetto romanzo e il greco. Gli stessi alunni sono stati, in un secondo momento, invitati ad esporre in un elaborato scritto i loro giudizi sull'italiano, sul dialetto e sul greco. Questa indagine mirava ad integrare con gli elementi ricavati dalle osservazioni libere i dati forniti dal questionario; essa ha fornito, altresì, preziosi campioni di un italiano popolare ricco di interferenze dei due codici subalterni. Contemporaneamente si è proceduto all'intervista diretta, con una scheda apposita, di un campione di popolazione adulta, scelta proporzionalmente nei singoli paesi, con attenzione alle variabili sociolinguistiche più rilevanti (età, sesso, condizioni socio-economiche, istruzione) e alle tre situazioni più ricorrenti (ambiente domestico, locale pubblico, posto di lavoro). Non si è ritenuto necessario, in questa prima fase dell'indagine, estendere l'inchiesta alle scuole elementari: i risultati si presentavano già in partenza scarsamente significativi, in quanto la condizione di diglossia generalizzata (italiano /dialetto) si è affermata, nei ragazzi inferiori ai dieci anni di età, tanto da escluderli, tranne rarissime eccezioni, dalla competenza anche passiva e addirittura dalla stessa coscienza linguistica del codice minoritario.

I giovani delle secondarie superiori e gli universitari, in numero assai ridotto (data, fra l'altro, la necessità di soggiornare stabilmente fuori dell'area alloglotta a Mèlito, Reggio e nelle sedi universitarie), sono stati inseriti, con una campionatura approssimativa, nel gruppo degli adulti e degli emigrati. L'inchiesta si è dovuta estendere a Mèlito e Reggio Calabria (Rione S. Giorgio) dove risiedono gli abitanti di Roghudi e Gallicianò evacuati dai paesi in seguito alle alluvioni del 1971 e 1972.


1. LA GRECÌA CALABRESE


La mancanza in Calabria di un grosso centro dotato del prestigio politico, sociale, economico e culturale sufficiente per avviare un processo di standardizzazione, ha finora impedito la formazione di una koinè dialettale regionale. Ora, mentre questa situazione, che ha indubbiamente favorito la sopravvivenza delle varietà alloglotte, mostra qualche tendenza al cambiamento nella Calabria cosentina (a nord della strozzatura Lamezia-Squillace) per il nuovo ruolo di centro catalizzatore che va assumendo Cosenza (Trumper 1975), la Calabria aspromontana resta caratterizzata da una grande frammentazione dialettale in varietà locali. Isolamento geografico, scarsa mobilità demografica e sociale impediscono il formarsi di un movimento centripeto attorno a Reggio. Sul piano linguistico la varietà dialettale reggina non riesce ad esercitare alcuna influenza normalizzatrice al di fuori del territorio comunale.

La Grecìa calabrese si inscrive nel massiccio aspromontano e si concentra nell'ampia e frastagliata valle dell'Amendolea e nelle balze più a oriente, dove sorgono le fiumare dette di S. Pasquale, di Palizzi e Sidèroni e che costituiscono la Bovesia vera e propria. Compresa nei territori di cinque comuni (Bova Superiore, Bova Marina, Roccaforte del Greco, Roghudi, Condofuri), la Grecia si estende per circa 233 kmq. La popolazione anagrafica complessiva è di circa 14.000 unità, ma quella reale, difficilmente quantificabile, è assai minore e in via di diminuzione per l'elevato tasso di decremento (emigrazione e decessi), non compensato dall'alta natalità. La tendenza all'urbanesimo, accentuata dall'esodo agricolo e rurale, ha accelerato negli ultimi decenni fino al parossismo la dialettica montagna-litorale, provocando

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un rapido e confusionario concrescere degli insediamenti costieri (Bova Marina, Palizzi Marina, Condofuri Marina) e di pianura (S. Carlo) e un corrispondente spopolamento della montagna, depauperata, peraltro, dal consistente flusso emigratorio. La polverizzazione fondiaria e la grande dispersione degli insediamenti in villaggi, casali e case sparse continua, inoltre, a caratterizzare la situazione della montagna.

1.1. Bova Superiore, detta Vua (Βοῦα) opp. i Chora (ἡ Χώρα «il Paese»), 827 m.s.m., già sede vescovile, Capoluogo di Mandamento e sede di Pretura, fino agli inizi del secolo il centro più popoloso e cuore della Grecia, è oggi ridotta a un paese di 1.400 ab., ai margini orientali dell'area alloglotta. La popolazione vive nel centro comunale (969 ab.), nella frazione Càvaddi (92 ab.) e in case sparse soprattutto nelle contrade Cùppari, Agrappidà e Calojèro (339 ab.).

1.2. Bova Marina, comune autonomo dal 1908, posto alla foce del torrente Sidèroni sulla superstrada litoranea Reggio-Taranto, ha 4.068 ab., così suddivisi: Bova M. 2.855, Fondo Guardiola 88, Fondo S. Pasquale 58, Fondo Vivo 76, case sparse 991.

1.3. Roccaforte del Greco, detta Vunì (Βουνί «montagna»), adagiata sul pendìo di uno sperone roccioso che raggiunge i 935 m.s.m., ha 1.740 ab., così distribuiti: Roccaforte 897,Chorìo di Roccaforte 323, Gattani 140, Torre 44, case sparse 236. Si raggiunge attraverso una strada molto accidentata che si stacca dalla superstrada presso Mèlito, risale il torrente Tuccio e si addentra nella montagna fino a Roghudi.

1.4. Condofuri o Condochòri (Κοντοχώρι «vicino al paese»), 350 m.s.m., comune autonomo dal 1906, era precedentemente casale di Amendolea (to Chorìo), conta 5.777 ab., insediati per lo più nella marina e nella retrostante pianura alluvionale. La sede comunale, Condofuri Sup., conta appena 723 ab. Il resto della popolazione è così suddiviso: Condofuri M. 1.446, Gallicianò 441, Amendolea (Amiddalìa « mandorleto ») 556, Grotta 679, S. Carlo 1.091; gruppi di famiglie vivono in case sparse nelle contrade Lugarà, Lapsè, Mùccari,Carcara, Màngani, S. Simio.

1.5. Roghudi o Richudi (ῥηχώδης «roccioso»), 519 m.s.m., conta 1.678 ab., così distribuiti: Roghudi 664, Chorìo di Roghudi 792, case sparse 222. Il paese fu evacuato nel 1971, in seguito a preoccupanti cedimenti del terreno provocati dall'alluvione; la popolazione si disperse nei paesi della costa (S. Trada, Melito, Reggio, Palizzi M., Condofuri M., Bova M.). L'anno successivo anche la frazione Chorìo ricevette l'ordine di evacuazione; ma, dopo alcune settimane passate nei centri di raccolta e in alberghi del litorale, la maggior parte dei chorioti rientrò abusivamente in paese.


                                                                    

                                                              Bova Superiore


2. PREMESSE STORICHE

Se questi possono ancora considerarsi i limiti territoriali della Grecia linguistica, in quanto all'interno di essi sono disperse le 3.900 persone che conservano competenza attiva e/o passiva del greco, sono tuttavia riconoscibili tendenze a una rapida evoluzione, palesi nella stessa struttura della popolazione grecofona. La stragrande maggioranza dei parlanti greco è costituita da persone al di sopra dei quaranta anni. Inoltre, pur esistendo un numero ristretto di persone che nell'ultimo decennio ha acquisito, per ragioni che provvisoriamente definiamo' culturali', la competenza parziale del codice minoritario, si può dire che il greco non ha più, da oltre un ventennio, nuovi parlanti nativi. Soltanto nel villaggio di Gallicianò e, in misura minore, in Chorio di Roghudi il greco contende ancora al dialetto romanzo il titolo di codice


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primario dell'interazione sociale. A rigore soltanto per queste due areole si può continuare a parlare di alloglossia. Assieme agli elementi nuovi, intervenuti negli ultimi decenni, che hanno accelerato il processo di degradamento del greco di cui si dirà oltre, vanno considerati fattori antichi, che hanno nel corso dei secoli intaccato la stabilità del greco e modificato i termini del conflitto tra i codici in contatto. Di questi fattori è opportuno esaminare preliminarmente i più rilevanti.

2.1. La grecità culturale e linguistica, compatta fino al XIII secolo (2), entra in crisi nella Calabria meridionale attorno al XIV secolo quando, col declino politico e culturale di Bisanzio, si diffonde il rito latino nella liturgia e nella predicazione della Chiesa e il monachesimo basiliano si avvia a quel rapido disfacimento che il Liber Visitationis di A. Calceopulo (3) registra dettagliatamente. Le notizie ricavabili dai libri delle tassazioni, dal Liber Visitationis, ma soprattutto dalle relazioni dei corografi del '500, '600 e '700 (4), da relazioni di viaggio e da fortunati trovamenti archivistici, consentono di accertare la diffusione del greco in quasi tutta la Calabria reggina fino al XV secolo, ma con ampie lacune documentarie che confortano l'ipotesi di una ormai avvenuta configurazione del greco come socioletto basso. Gli atti ufficiali sono redatti in latino; nell'interazione quotidiana il volgare già prevale nei centri più aperti al contatto col circostante mondo romanzo. Una situazione di bilinguismo diffuso continua invece a caratterizzare i centri più isolati. La cronaca del Barrio registra, per a metà del '500, la vitalità della lingua greca usata quotidiano sermone accanto alla latina in un gruppo di paesi dell'Aspromonte settentrionale: Pedavoli, Scido, Santa Giorgìa, Lubrichi, Sitizzano, Sinopoli: «Hi pagi Graeci sunt et rem divinam Graeca lingua ac more faciunt, in quotidiano vero sermone latina et graeca lingua utuntur» (Barrio 1571, p. 173). Il Marafioti conferma, per l'inizio del '600, la grecità di questi villaggi di montagna, aggiungendovi Cocipodoni (oggi Cuzzopèdoni, contrada di Delianuova), ma tace significativamente della situazione linguistica del centro-capoluogo S. Cristina d'Aspromonte: «I suoi (di S. Cristina) casali sono questi: Scido, Ieorghìa, Cocipodoni, Lobriche e Sitizzano, e nella maggior parte di questi si parla lingua greca» (1601, p. 72 b). Il numero dei paesi bilingui deve però ritenersi per quest'epoca assai più elevato, se si considera che le fonti non appaiono eccessivamente scrupolose nel rilevare i caratteri linguistici di tutti i centri descritti; il Marafioti, per es., accenna soltanto a Gallicianò, Roghudi, Roccaforte e Amendolèa («Gallico, Rigude, la Rocca, casali dell'Amendolia»: p. 159), senza dichiararne la grecità. Nel novero dei centri greci del pre-Aspromonte è da includere perciò, a fortiori, anche Oppido, confinante coi paesi sopra nominati e sede di diocesi greca e i villaggi posti più a occidente, come Cosoleto, esplicitamente indicato dal Marafioti (p. 72): «In questo castello e nei luoghi convicini si parla communemente in lingua greca». Fra i «luoghi convicini» sono da includere, con ogni probabilità, oltre ai «casali a sè soggetti Varapodi, Chrotone, Tresilico, Mesignade e Zorgonade» (Marafioti 1601, p. 72 b), anche Castellace, S. Procopio, Melicuccà, Seminara (patria del monaco Barlaam, maestro di greco del Petrarca), tutti paesi che presentano tuttora la più fitta rete di interferenze lessicali e fonetiche greche nei loro dialetti e una toponomastica pressocché interamente greca.

2.2  Gli atti ufficiali sono redatti in greco fino al XIII sec. Cfr. F. Trinchera, Syllabus GraecarumMembranarum, Napoli 1865. Sulla distribuzione della popolazione grecofona discute A. Guillou,Inchiesta sulla popolazione greca della Sicilia e della Calabria nel Medio Evo, «Rivista StoricaItaliana», 75 (1963), pp. 53-68.3 M. H. Laurent-A. Guillou, Le Liber Visitationis d'Athanase Chakéopoulos (1457-58).Contribution à l'histoire du monachisme grec en Italie méridionale, Città del Vaticano, 1960.4 Cfr. la bibliografia raccolta soprattutto in Rohlfs (1974) e Spano (1965).


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Non si è prestata finora sufficiente attenzione all'incidenza della ristrutturazione normanna delle diocesi sul precoce declino dei greco in quest'area. Reggio e Mileto passano al rito latino nel sec. XI, mentre vengono istituite, per le due aree più fortemente grecofone, le nuove diocesi di rito greco Bova e Oppido. Quest'ultima comprende però soltanto una parte dei paesi effettivamente greci (Paracorio, Sitizzano, Varapodio, Lubrichi, S. Giorgia, Scido, Pedavoli),mentre Seminara, Melicuccà, S. Procopio, Sinopoli, Acquaro, Cosoleto vengono inclusi nella vastissima diocesi di Mileto, che passa al rito latino. Questa diocesi si incunea fin  nel cuore della Grecia pedemontana, pregiudicandone precocemente e irrimediabilmente la compattezza e la stabilità linguistica. La spinta innovativa da Reggio verso la montagna porta, tra il sec. XV e il XVI, a un'ulteriore frammentazione: il bilinguismo nella diocesi reggina si fa sempre più instabile, eccettuata l'area Mosorrofa-Cataforio-Armo-Cardeto-S. Agata, che resiste fino al sec. XVII (5), e i paesi costieri fino a Bova (6). Nel sec. XV la Grecia si estende dunque nel territorio di tre diocesi: Gerace, Oppido (che abbandonano il rito greco nel 1467) e Bova, dove il rito greco resiste, caso isolato in tutta la regione, fino al 1575. Per il XVI sec. i centri di cui le fonti dichiarano la grecità almeno parziale sono una trentina: Bova, Gallicianò, Amendolea, Roccaforte, Roghudi, Palizzi, Staiti, Cardeto, Cataforio, Mèlito, S. Agata, Africo, Montebello, S. Lorenzo, Bagaladi, Motta S. Giovanni, Laganadi, S. Alessio, S. Stefano, S. Roberto, Podargoni, Sambatello, Cosoleto, Pedavoli, Lubrichi, Scido, Sinopoli e le due exclavi Oppido e Molochio. A Reggio e Mileto, latine già da quattro secoli (7), il greco è ormai regredito a socioletto basso e rurale. L'Ughelli (8) testimonia, nel sec. XVII, sporadiche sopravvivenze di alloglossia nella diocesi reggina:

«Sunt et pagi 23 quos casali vocant: Joppido, Moloi, Sabatello, S. Stephano,Alessij, Arati, Archi, S. Joanne, S. Dominico, Toretti, Triano, Pavigliano,Cannavò, Soperato, Podargoni, Cerati, Schindiliva, Dominiti, Perlupo, SanctoBingo, Laganale, S. Roberto, Molocchello; ex his vero quidam graecoshabent colonos ».

All'inizio dello stesso secolo il Marafioti aveva riscontrato nello stesso territorio diversi paesi dove si parlava, invece, «communemente» il greco: «In questo casale (Motta) communemente si parla in lingua greca e nella stessa lingua si celebra la santa Messa e si ministrano gli altri sacramenti della Chiesa, il 5 «Agatha graecum oppidum [...] Sunt in hoc agro pagi Cardetum et Misoripha. Incolae in communi sermone latina et graeca lingua utuntur, rem vero divinam graeca lingua graecoque ritu faciunt» (Barrio 1571, p. 219). Anche secondo il Marafioti (1601, p. 61) questo territorio, agli inizi del '600, era greco di lingua e liturgia: «Dalla Motta partendoci n'incontra il fiume S. Agata, e sovra il fiume in un luogo alto circondato di sassosi precipitij, sta fabricato il castello chiamato S. Agata, nelle cui campagne sono due casali, cioè Cardito e Misorifa [...] In questo castello [...] gli uomini e donne sono molto accorti et animosi e parlano la lingua greca e nella stessa lingua si celebra la loro santa Messa, si ministrano i Sacramenti e si recitano i divini Uffizij». 

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6 Cfr. Barrio (1571, p. 228): «A Leucopetra villa hucusque (scil. fino a Bova) incolae in familiari sermone latina et graeca lingua utuntur, sacra vero graeca lingua, graecoque ritu faciunt». 

Cfr. J. Gay, Etude sur la décadence du rite grec aans l'Italie méridionale, in Compte Rendu du 4. Congrès Intern. des Catholiques, 1897, p. 168; Rohlfs (1974, p. 152).

8  Ughelli, Italia Sacra, 1644, tomo IX, p.430.


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ch'anco s'usa nella più gran parte delle habitationi convicine a Regio» (Marafioti,1601, p. 61). Nel corso del secolo XVIII l'irradiazione dell'italiano dai centri più aperti socialmente e culturalmente e la diffusione dei dialetto, per i cresciuti contatti con l'anfizona romanza, interrompono definitivamente la compattezza linguistica dell'Aspromonte. Nel senso di una ormai compromessa stabilità del bilinguismo vanno intese le annotazioni del Rodotà (9) sulla situazione linguistica, a metà del '700, nei centri più aperti alla vita socio-economica dello Stretto: «In Cardeto e in Montebello la lingua greca prevale di presente all'italiana. In S. Agata, in Armo, in Mosorrova, in San Lorenzo, nella Motta di S. Giovanni, in Melito e Bagaladi si usa dal volgo l'una e l'altra favella». Il Pacichelli (10) riferisce inoltre che, agli inizi del '700, in S. Agata, Cardeto e Misorifa si usa «una mistura di greco idioma». Ma, oltre che nelle fonti documentarie, i dati decisivi sull'estensione e persistenza della grecità nella provincia di Reggio si dovranno cercare nella struttura stessa dei dialetti romanzi reggini che, quando saranno stati descritti storicamente in maniera adeguata, potranno mettere in luce i tempi, le dimensioni e le modalità del lento frastagliarsi e disintegrarsi della grecità linguistica. La fortissima grecizzazione lessicale, morfonetica e sintattica di questi dialetti, non potendosi aggiudicare al contatto con la Bovesia, assolutamente isolata e priva del prestigio culturale necessario per esercitare una così massiccia influenza, deve ritenersi, pressocché nella sua totalità, fatto di sostrato (11)Nel 1820, all'epoca della visita di K. Witte (12), la popolazione grecofona, composta ormai prevalentemente da pastori e contadini, risultava ristretta a 12 villaggi dell'Aspromonte Bova, Montebello, Roccaforte, Condofuri, Gallicianò, Roghudi, Chorìo di Roghudi, Amendolea, Campo di Amendolea, S. Pantaleone, Ghorio e Cardeto. Ai paesi citati dal Witte, dove presumibilmente persisteva una condizione di bilinguismo generalizzato (greco/dialetto) vanno aggiunti, però, altri centri del circondano di Reggio, Melito e S. Agata, dove si era precocemente imposta una diglossia comportante una più accelerata obliterazione ed emarginazione del codice debole. Ciò risulta, fra l'altro, dalla relazione, scritta nel 1845, dal Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Reggio, G. C. Libetta (13), che enumera 16 centri “bilingui”. Per il Circondario di S. Agata in Gallina il Libetta annota: «In Cardeto parlasi un certo greco corrotto ed è il primo paese da questa parte della Provincia dove si parli il greco e l'italiano, ma il primo idioma in questo paese si parla da pochi». 

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9  P. P. Rodotà, Dell'origine del rito greco in Calabria, Roma 1758, p. 410. 

10 G. B. Pacichelli, Del Regno di Napoli in prospettiva, diviso in 12 Province, parte II, Napoli 1703, p. 135. 

11 Cfr. Rohlfs (1974, p. 26 sgg.).

12 K. Witte, Griechische Volkslieder in Suden von Italien, «Gesellschafter», 105 (1821), p. 697.

13 Cfr. G. Cingari, La Calabria nel 1845 (Relazioni inedite del Presidente della gran Corte civile di Catanzaro e del Procuratore Generale della Gran Corte Criminale di Reggio, «Quaderni di Geografia umana per la Sicilia e la Calabria», 3 (1958), p. 1 sgg.



Gallicianò

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Nel Circondario di Mèlito «in alcuni paesi si parla greco e precisamente in Montebello, Pentedattio, San Lorenzo,e Ghorìo, che come cennai in italiano comporta ‘soborgo’: il tempo però, che tutto consuma, par che vada abolendo questo avanzo di antichità e laddove prima poche persone capivano l' italiano, al presente non vi è alcuno che no ' l parli in questi paesi».

Perfino nel Circondario di Bova, più isolato e linguisticamente compatto, un terzo della popolazione adoperava ormai l'italiano. Anche la compartimentazione per classi di età, sesso e condizione sociale è diligentemente annotata dal Libetta:

«Questo Circondario offre una singolarità: tutti gli abitanti ab immemorabili parlano il greco di Omero e di Pindaro; di essi appena una terza parte conosce anche l'italiano; 1 e donne, i giovanetti e i campagnoli non parlano che il greco».

Dopo l'Unità d'Italia, il primo Censimento generale della Popolazione rileva sette comuni grecofoni (Bova, Cardeto, Cataforìo, Condofuri, Mèlito, Roghudi, S. Agata), oltre alla lontana isola bizantina di Rossano nella Calabria Citra (con 14.257 ab., di cui 7.417 grecofoni). Per l'area aspromontana i dati del rilevamento appaiono poco credibili e di difficile interpretazione. Non sono considerati Palizzi, Roccaforte e Staiti, che figureranno invece nei successivi Censimenti, mentre gli abitanti di Bova (2.787), Cardeto (1.722), Condofuri (2.775) e S. Agata (730) risultano tutti grecofoni (dodici anni più tardi il Morosi troverà a Cardeto «soli due o tre vegliardi» grecofoni). Resta significativo il fatto che a Roghudi, nel cuore della Grecìa, allora inaccessibile, si trovano già quattro abitanti (su un totale di 985 unità) che non sanno il greco; Cataforìo ha 982 grecofoni su 2.671 ab., Mèlito 659 su 3.050.

Dopo l'Unità, anche in seguito alla ristrutturazione amministrativa e all'eversione dei feudi, si forma una borghesia italofona che, diffondendo l'italiano popolare, modifica i termini del conflitto tra i due codici allora conosciuti (dialetto e greco). In alcuni paesi vengono istituite scuole di italiano, frequentate dai figli dell'antica nobiltà locale e della nascente borghesia agraria: l'istruzione non è obbligatoria. La leva militare del nuovo regno preleva i giovani esponendoli per lunghi anni a infinite umiliazioni derivanti sostanzialmente dalla loro alloglossia e dall'analfabetismo. La dicotomia proletariato grecofono analfabeta / borghesia italofona alfabetizzata scatena, all'indomani dell'Unità, il meccanismo della emarginazione e della tabuizzazione del greco.

Nella primavera del 1873 il Morosi, nella sua breve visita, trova la Grecia ridotta ai confini attuali:

«Si trovano [le colonie neo-elleniche] lungo la fiumara dell'Amendolea, tra la Torre del Salto e Capo Spartivento, e son queste che ora enumero: Bova; Condofuri, con Amendolea e Gallicianò, suoi casali; Roccaforte, con Chorlo di Roccaforte; Rochudi o Rofudi, con Chorìo di Rochudi»(14). Ad esse il Morosi aggrega il paese di Cardeto, isolato in territorio romanzo:

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14 Morosi (1878).



Roghudi


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«Una quinta colonia era Cardeto, nel territorio di Gallina, in fondo alla valle solcata dalla fiumara S. Agata; ma l'avito linguaggio, ancor vivo e vegeto a Bova e nelle terre circonvicine, è pressoché spento a Cardeto, dove soli due o tre vegliardi, e incompiutamente, lo serbano ancora»(15).

La grande ondata emigratoria transoceanica dei primi anni del '900, successiva alla legge sulla libertà di emigrazione (1901), colpì gravemente il Mezzogiorno, ma innestò contemporaneamente un nuovo dinamismo socio-culturale. Il Censimento generale del 1911 registra un sensibile aumento di italofoni nella Grecia: Bova ha 1.567 grecofoni su un totale di 2.188 abitanti residenti, Palizzi 457 su 3.896, Roccaforte 1.184 su 1.429, Roghudi 1.140 su 1.298, Staiti 62 su 1.404. Solo a Condofuri i 4.125 abitanti residenti risultano tutti grecofoni (ma il precedente Censimento vi registrava 27 italofoni!). Comunque, le prime ondate di espatri non intaccarono che assai marginalmente la Grecia aspromontana, ancora isolata, senza strade e immobilizzata dalla miseria. Furono invece le conseguenze economiche e psicologiche del grave terremoto di Reggio e Messina del 1908 e del primo conflitto mondiale che inaugurarono un'epoca di vera e propria diaspora.

L'avvento del Fascismo trova grosse comunità grecofone bilingui a Mèlito e Reggio Calabria, pesantemente emarginate in quartieri-ghetto. L'ultima rilevazione ufficiale, il Censimento del 1921, include nella Grecìa, oltre ai comuni di Bova, Condofuri, Roccaforte e Roghudi, anche Palizzi e registra una popolazione complessiva di 14.336 abitanti, di cui 3.639 grecofoni, pari al 25,3 % del totale:

Comuni Abitanti Grecofoni

Bova 2.407 976

Condofuri 4.242 983

Palizzi 4.117 500

Roccaforte 2.025 276

Roghudi 1.545 904

Anche questi dati appaiono, però, fortemente sospetti, se soltanto un anno dopo il Rohlfs non trovava più grecofonia a Palizzi. All'arrivo del Rohlfs (1922) i paesi grecofoni erano ormai ridotti a sette: Bova, Roccaforte, Condofuri, Gallicianò, Roghudi, Chorìo di Roghudi e Amendolea (16). Nella seconda edizione del suo Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma 1933, a 40 anni di distanza (1974), il linguista tedesco deve aggiungere la nota seguente:

«Oggi tutte queste località sono ormai bilingui. Le famiglie più civili non parlano più il greco e la generazione giovane usa quasi esclusivamente l'italiano. Soltanto i contadini e i pastori, specialmente nelle più rimote dimore, conservano ancora tenacemente il loro antico linguaggio. In questi ultimi 30 anni il greco come lingua viva è quasi scomparso a Bova, Condofuri, Roccaforte e Amendolea. Rimane invece in piena vita nei villaggi

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15 Morosi (1878, p. 1).

16 Rohlfs (1974, p. 22).


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più interni e ancora oggi di non facile accesso: Gallicianò e Roghudi» (17)Dopo il 1921 non si hanno più rilevazioni ufficiali; l'inchiesta di B. Spano (18) conferma la tendenza all'estinzione del greco. Le roccaforti ancora inespugnate (Roghudi, Chorìo di Roghudi e Gallicianò) si sono infatti assottigliate per l'esodo verso le marine, il Nord d'Italia e l'Estero. Poiché l'emigrazione interessa normalmente il proletariato e sottoproletariato rurale, essa colpisce irrimediabilmente la minoranza effettivamente grecofona. Nel 1964, secondo i dati raccolti da B. Spano, su una popolazione complessiva di 14.871 ab., solo 3.900 'parlano greco'; in realtà essi sono diglotti e usano normalmente il dialetto nella comunicazione, anche all'interno del gruppo. Soltanto nel paese di Roghudi il numero dei grecofoni supera, anche se di poco, quello dei dialettofoni e degli italofoni, come risulta dalla tabella seguente (Spano1964):

Comuni Abitanti Grecofoni %

Roghudi 1.634 916 56

Bova 1.875 690 36,8

Roccaforte 1.736 483 27,8

Condofuri 5.715 1.287 22,5

Bova Marina 3.911 524 13,3

È rilevante che, dei 916 grecofoni del comune di Roghudi, il 75 % risiede nelle campagne e in case sparse (il 68 % nella frazione Chorìo); dei 680 grecofoni di Bova solo il 26 % risiede nel centro, il resto nella frazione Càvaddi e in case sparse nella campagna; Roccaforte centro ha solo il 13 % e la frazione Chorìo il 58 %; la Marina di Bova ha solo l'8 %, il resto nelle campagne; i grecofoni di Condofuri risiedono in paese solo nella misura dell'11 %, gli altri vivono nelle campagne o nella frazione Gallicianò, che coi suoi 463 grecofoni (su un totale di 482 ab., il 96 %) resta l'unico centro dove il codice più usato continua ad essere il greco.

Non offre novità di rilievo l'inchiesta dell'AIDLCM («Associazione Internazionale per la Difesa delle Lingue e Culture Minacciate»), svolta da un'équipe internazionale nel 1975 (19).

Essa rielabora i dati dell'inchiesta Spano, integrandoli con quelli del Censimento del 1971. Il fatto più rilevante di quest'ultimo decennio è una decisa contrazione demografica, appena mitigata dal tasso di natalità sempre alto e dagli insediamenti alle marine. In tutta la Grecìa figurano, nel 1971, 13.870 abitanti residenti (ma la popolazione reale è in numero assai inferiore) e 1.571 emigrati, di cui 288 verso l'Estero e 1.283 in altri comuni. Roghudi registra quest'anno 795 emigrati in altri comuni, cioè la totalità degli abitanti, evacuati dopo l'alluvione. È questo il colpo più grave all'isola alloglotta dell'Aspromonte. Con l'evacuazione di Chorìo di Roghudi dell'anno successivo (1972), la Grecia vera e propria si riduce al solo villaggio di Gallicianò, l'unico che non è ancora collegato da una strada carrabile con il mondo civile.

2.2. A differenza della Grecia salentina, quella aspromontana appare tuttora marcata da un

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17 Rohlfs (1974, p. 22, n. 18).

18 Spano (1965, p. 149 sgg.).

19 AIDLCM (1975).



Aspromonte


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drastico isolamento geografico che in passato ha imposto un'economia rigorosamente autarchica e arcaica. Nelle zone di persistenza dell'alloglossia l'attività preminente è ancora la pastorizia e l'agricoltura. Fino all'avvento del Fascismo non esistevano strade. I pochi che attraversavano la montagna per scendere verso le marine e la piana di Gioia Tauro al fine di commerciare i prodotti della pastorizia e i tessuti dell'artigianato locale (lana, seta, ginestra), dovevano avventurarsi lungo pericolose mulattiere o seguire, nei mesi estivi, i letti delle fiumare. Così la Grecia è descritta dal viaggiatore Alberto Fortis nel 1788:

«A Condofuri, un distretto di 1.036 abitanti, a Gallicianò di 385, a Roghudi di623, a Palizzi di 863 non si sa nulla di monete coniate. Tutto il commercio si esercita per mezzo di scambi, come presso i primi abitatori della terra. Essi vivono chiusi nelle loro rupi inaccessibili senza strade né sentieri, e non hanno alcun contatto col mondo esterno» (20).

A questo isolamento accenna anche il Vivenzio (21): «Le genti che abitano più presso i monti all'estremità della penisola [...] sono chiuse nelle balze senza strade e senza comunicazione». La situazione appariva ancora inalterata all'arrivo del Rohlfs: «Quando nel 1922-3 visitai perla prima volta le località greche in Calabria, nessuno dei cinque centri (Bova, Condofuri,Gallicianò, Roccaforte e Roghudi) era ancora collegato per mezzo di una strada col resto del mondo» (22).

Un medico grecanico, Francesco Nucera, che ha raccolto in volume (23) una gran quantità di notizie storiche ed erudite su questo 'popolo minorato', così descrive il villaggio di S. Carlo:

«Una specie di colonia africana, fatalisticamente rassegnata che, all'incrocio delle vie del progresso, discende i gradini bassi dei valori sociali, nelle condizioni di plebe asservita, impedita ad emergere dal peso degli abusi del dominio feudale».

E Condofuri:

«Un luogo angusto, scavato nella roccia, accanto ad un ruscello perenne,profondo, quasi senza sole, fino a ieri luogo di miserie infinite ».

E Gallicianò:

«Popolo di pastori senza più greggi, chiamato oggi a compiere una fatica da bruti,abbrustolendosi sempre più in clima di antica miseria, di oscura, selvaggia, primitiva vita pagana. Emaciato, squallido, tormentato [...] questo sgraziato paese ha l'aspetto di un porro, legato da un peduncolo alla roccia. E sorprende che questo porro, invecchiato e fragile, abbia resistito all'azione corrosiva delle acque; e come le case, sghembe e annerite, portino ancora l'impronta dell'uomo che vi

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20 A. Fortis, Mineralogische Reisen durch Calabrien, Weimar 1788, p. 120.

21 G. Vivenzio, Historia dei tremuoti della Calabria e di Messina nel 1783, Napoli 1783, p. 168.

22 G. Rohlfs, Nuovi scavi linguistici nell'antica Magna Grecia, Palermo 1972, p. 22.

23 F. Nucera, Rovine di Calabria, Reggio Calabria 1974.


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abita e non siano, invece, un ricovero di belve».

E Roghudi:

«Desolato, brullo, respingente, con le casupole nere e sgraziate, poste a perpendicolo sull'abisso; con delle stradette tagliate sulla roccia, a strapiombo su un fondale d'inferno, questo paese, visto a distanza, sembra un grosso nido di falchi appeso a una rupe».

Fra i documenti riportati in appendice dal Nucera figura un decreto dei cittadini di Amendolea del 1805, in cui si dice che l'Assemblea, riunita per decidere la vendita di una foresta, decise invece che «essa fosse rimasta per gli usi cittadini, dovendo le ghiande servire per il pane comune».

Così il parroco di Africo, altro paese aspromontano ai margini della Grecìa, descrive le condizioni del paese alla fine della I guerra mondiale:

«Il popolo degradato all'eccesso non conosceva pudore! Uniti senza matrimonio ecclesiastico, spesso senza civile [...] uso bestie! Vivono in vere tane di circa 8-9 metri quadrati di area, albergano e dormono quasi insieme i genitori, i figli, il maiale, delle pecore, delle galline e altre bestioline innominabili [...] L'igiene, com'è immaginabile, non la conobbero mai. Luridi alla faccia e alle estremità, nelle vesti o stracci penzolanti sulle carni, non potendo sedersi in casa, priva di sedie e di spazio, si vedono accantucciati per le viuzze del paese, piene di fango.

Per conseguenza le malattie invadono e soggiornano senza tregua. I poveri infelici, per giunta, son senza medico e senza medicine. Non si trova pane, la miseria regna sovrana» (24).

In queste condizioni è comprensibile come la mobilità sociale si sia conservata sempre scarsissima. Non si sono mai sviluppate attività artigianali e commerciali di rilievo. Tra le cause della conservazione del greco nei secoli va considerata, oltre all'isolamento geografico e all'immobilità sociale, la tenacia della cultura bizantina, che ha profondamente permeato questi centri montani, conferendo prestigio al greco, lingua della religione e di una consistente letteratura orale. Anche dopo che la diocesi di Bova abbandona, nel sec. XVI, il rito greco, introducendo il latino nella liturgia e l'italiano nella predicazione, molte chiese continuano ad amministrare in greco i sacramenti (chiese protopapali) e la popolazione delle classi più umili continua ancora per secoli a confessarsi in greco. Tuttora la tradizione grecobizantina non sembra del tutto spenta nella coscienza delle popolazioni rurali.

L'analfabetismo, ostacolando i contatti con l'ambiente romanzo, ha mantenuto sempre sviluppatissima l'endogamia. Recente è l'apertura di istituti scolastici, disertati peraltro da un'alta percentuale di ragazzi precocemente adibiti al lavoro dei campi o alla pastorizia. Fino alla I guerra mondiale i verbali dell'Amministrazione dei comuni greci riportano, accanto alla

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24 U. Zanotti Bianco, Tra la perduta gente, Verona 1959, p. 140.


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firma del segretario, talvolta di cognome non grecanico, il segno di croce degli amministratori locali.

2.3. Il fattore culturale che più ha contribuito alla crisi della grecità tra il X e il XVI secolo è l'ingresso della Calabria bizantina nell'orbita della Chiesa di Roma e il conseguente cambiamento liturgico. Durante questo periodo il monachesimo basiliano esaurisce ogni energia e vitalità. Lo sfacelo economico, morale e culturale registrato dal Calceopulo nel XV secolo è impressionante: i preti sono quasi tutti analfabeti, corrotti, concubinari e dediti al guadagno.

Una data cruciale è il 1573, quando Giulio Stauriano, imposto due anni prima da Pio V sulla cattedra episcopale di Bova, pur essendo egli stesso greco di Cipro, stabilisce di abolire il rito greco e di introdurre il latino (il mutamento fu sancito da Gregorio XIII con la bolla del 14 marzo 1574). Lo Stauriano, convinto che la lingua, la cultura e la liturgia greca fossero connesse con il decadimento morale, lanciò una scomunica contro coloro che, anche in avvenire, avessero parlato, imparato o insegnato la lingua greca. Da allora la Chiesa ha usato l'italiano nella predicazione e nell'omiletica. I confessori interpellavano in italiano i penitenti, anche quando essi si esprimevano in greco. Recentemente, essendo invalsa la consuetudine di stanziare nelle sedi parrocchiali preti di altre regioni, spesso settentrionali ignoranti anche del dialetto romanzo (come è attualmente per Roccaforte, Condofuri, Gallicianò e Amendolea),l'interdizione del greco si è fatta rigorosa. (25) Significativo è il verbale del Decurionato di Roghudi del 2 gennaio 1856, conservato nell'Archivio del Comune, presso la Delegazione di Roghudi a Melito P.S., nel quale si definisce « non di prima necessità la spesa per l'istruzione: «Provincia della Calabria Prima Ulteriore - Distretto di Reggio - Circondario di Bova - Comune di Roghudi. L'anno 1856, il giorno 2 del mese di gennajo, in Roghudi, Noi, Gio:Domenico Scordo secondo eletto effettivo in atto da sindaco del Comune di Roghudi, avendo dietro intima radunato il Decurionato per deliberare sul contenuto del rispettabile foglio del Signor Intendente, iscritto in data degli 11 dicembre caduto anno sull'oggetto cioè della piazza vacante della maestra delle fanciulle, il consesso medesimo, considerando la mancanza assoluta nel comune di donne abili e capaci del disimpegno di tale carica per potersene formare, considerando la condizione della popolazione, la quale dovendo nella generalità vivere con l'impiego delle proprie braccia deve fin dalla tenera età addire a tutte le altre occupazioni le piccole figliole, considerando la spesa che per una tale piazza avrebbe a soffrire la Comune ed infine considerando non avere la Comune risorse tali da sostenere spese non di prima necessità, ha deliberato pregassi il Signor Intendente benignarsi dispensare il Comune di Roghudi dalla spesa per la piazza della maestra delle fanciulle. Così ha deliberato e conchiuso oggi suddetto giorno mese ed anno come sopra.

Giuseppe Scordo, Decurione idiota

Giovanni Stelitano, Decurione idiota

Domenico Nucera, Decurione idiota

Domenico Stelitano, Decurione idiota

Francesco Zavettieri, Decurione idiota

Salvatore Nucera, Decurione

Giovanni Auteitano, Segretario.


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Una caratteristica del massiccio aspromontano, che G. Fortunato definì «uno sfasciume geologico pendulo sul mare» è il dissesto idrogeologico, a cui i disorganici interventi della Cassa per il Mezzogiorno e dei Consorzi di Bonifica non hanno potuto contrapporre rimedi efficaci. Le frequenti alluvioni provocano l'isolamento totale dei centri interni. Il dissesto è degenerato negli ultimi decenni, creando un clima di smobilitazione e di paura. Nel 1951 una grave alluvione devastò il paese di Africo, che fu abbandonato, minacciò Roghudi e, più gravemente, Gallicianò. Gran parte di gallicianoti emigrò, altri si spostarono a Vùcita (Gallicianò Nuova); nel 1971 toccò a Roghudi, che fu totalmente sgomberato, nel 1972 a Chorlo di Roghudi. Nell'inverno del 1973 Roccaforte e i due Chorlo rimasero totalmente isolati. Alle alluvioni si sono alternati, in numerose occasioni, i terremoti, rendendo ancor più precaria la vita in Aspromonte; i più disastrosi datano 1169, 1230, 1340, 1509, 1599, 1638,1743, 1783, 1894, 1908, alle cui devastazioni si accompagnarono epidemie e incendi (26).

La stessa miseria, che ha parzialmente protetto la Grecìa nel corso dei secoli da interferenze culturali e linguistiche, ne ha promosso, dall'Unità d'Italia in poi, il processo di sfaldamento. Questo è collegato innanzitutto con il crescere della mobilità sociale e territoriale, con i fenomeni dell'urbanesimo e dell'emigrazione. L'inabitabilità e la bassa produttività della montagna hanno prodotto l'esodo rurale: abbandono delle campagne e trasferimento alle marine (27) o emigrazione verso il Nord (piccole comunità plurifamiliari si sono formate a Domodossola e in Svizzera). Entrambi i fenomeni si sono risolti in un massiccio esodo agricolo: abbandono dell'attività agricola e pastorale e trasferimento in altri settori produttivi (industria, pubblico impiego, terziario), per cui la lingua minoritaria non è più codice fruibile. L'adozione del dialetto romanzo e, in molte situazioni, dell'italiano è divenuta obbligatoria non solo per pressioni psicologiche, ma anche per ragioni di funzionalità comunicativa. Negli ultimi dieci anni gli espatri si sono fatti sempre più rari, mentre alto permane il tasso di emigrazione interna. Gli emigrati stagionali rientrano in paese con un bagaglio di modelli culturali nuovi, che escludono categoricamente una lingua minoritaria, socialmente connotante, arcaica e rurale qual è il greco. Trovare impiego fuori della Grecia, cioè fuori del settore agricolo, e pertanto abbandonare il greco, è divenuto un fatto di promozione sociale. Il rapporto montagna-pianura e campagna-città si manifesta ancora una volta (28) come conflittualità tra lingue subalterne e lingua egemone.

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26  Spano (1964, p. 169 sgg.).

27 Bova nel 1816 contava 5.780 ab.; dopo l'Unità cominciò lo spostamento verso la Marina e il concentramento urbanistico alla foce del torrente Sideroni, dove sorse Bova Marina, Comune autonomo dal 1908. Nel 1901 Bova Superiore aveva ancora 4.588 ab.; oggi conta appena 1.400 ab. e Bova Marina 4.068.

28 Già nel corso dei sec. VII-III a.C. il greco delle città costiere si era imposto a discapito dell'italico degli indigeni che regredì verso l'entroterra (Sila, Aspromonte). Il contatto creò una situazione di bilinguismo in cui l'osco si pose come codice di minor prestigio. I bilingues Bruttates (i multi ignobiles populi di Livio) scrivevano in lettere greche i loro testi epigrafici (cfr. A. De Franciscis-O. Parlangeli, Gli Italici del Bruzio nei documenti epigrafici, Napoli 1960) e vennero lentamente assimilati alla cultura egemone. Nei sec. Ill-I a.C., con il progredire della romanizzazione, dovette verificarsi una situazione di trilinguismo (latino, lingua di maggior prestigio in espansione greco di koinè regionale in regresso / osco grecizzato in via di estinzione) che presenta analogie con la situazione attuale (italiano regionale in espansione / dialetti romanzi in generale regresso / isole alloglotte fortemente dialettizzate in estinzione).


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Tutto ciò moltiplica l'efficacia dei mass-media, che hanno dato un impulso potente all'espansione dell'italofonia, accentuando il complesso di inferiorità delle generazioni più anziane e delle classi meno acculturate. Si può notare una proporzionalità diretta tra diffusione dell'italiano e regressione dei codici subalterni. Mentre Chorìo di Roghudi, Chorlo di Roccaforte, Gallicianò e Amendolea non hanno edicole e contano pochi apparecchi radiofonici (hanno però il posto telefonico pubblico), a Condofuri, Roccaforte e Bova esiste una sola edicola pochissimo frequentata. Diversa è la situazione di S. Carlo, Bova Marina e Condofuri Marina che, ubicati presso la superstrada litoranea, rientrano nei circuiti di distribuzione della stampa.

Pesante si rivela l'azione della scuola dell'obbligo, il cui personale insegnante ignora nella quasi totalità i problemi didattici posti dall'alloglossia. Nell'anno scolastico 1973-4, secondo i rilevamenti ISTAT, la scuola materna di Bova Sup. ha ospitato 52 iscritti, 112 l'elementare, 62 la media inferiore. A Bova Marina: scuola materna 157, elementare 384, media 227. A Condofuri: scuole materne 248, elementari 544, medie 260. A Roccaforte: scuola materna 55, elementare 126, media 56. Le scuole medie superiori funzionano solo a Bova Marina (123 iscritti) e servono tutti i paesi della Grecia. Gli alunni di Gallicianò, Chorìo di Roccaforte e Bova Superiore, specie quelli residenti nelle campagne, devono affrontare quotidianamente lunghi tragitti per raggiungere le sedi scolastiche. Qui essi subiscono sovente, in condizioni di evidente svantaggio, il confronto coi modelli culturali, ritenuti superiori, dei compagni della Marina. Mancano i dati di Roghudi (già sgomberato) per il 1973-4. Nell'anno scolastico precedente, il primo dopo l'evacuazione del paese, gli alunni roghudesi ospitati nella scuola materna di Melito sono stati 50, nella scuola elementare 30, nella media inf. 45. Nelle scuole di Melito, dove sono appena tollerati, i Roghudesi e i Chorioti trovano un ambiente assai propizio alla loro assimilazione linguistica e culturale (29).

Il fattore espulsivo più energico per le popolazioni grecaniche e, nello stesso tempo, il maggiore responsabile della degradazione e obliterazione del sistema linguistico minoritario è l'esasperazione della grecofobia da parte delle popolazioni romanze limitrofe. Il fenomeno, essendo antico, ha assunto proporzioni sconosciute alle altre minoranze discriminate. Pesa ancora in molte coscienze l'antica interdizione del vescovo bovese Giulio Stauriano (1573), valida anche per l'avvenire. La struttura feudale rigidissima ha per secoli contrapposto una minoranza eteroglossa (feudatari, pubblici ufficiali, clero) e una massa di grecofoni analfabeti (braccianti, contadini, pastori). Sul piano linguistico la classe dominantenon ha mai costituito il 'polo conservativo'.

I giovani paḍḍéchi («grecofoni», cf. grico paḍḍikàri «celibe» < gr. παλληκάριον) che, dopo l'Unità, cominciavano ad uscire dalla Grecia in cerca di lavoro, venivano adibiti dalla gente della Marina e della Piana ai lavori più umili e servili e derisi per il loro linguaggio incomprensibile. La parola paḍḍécu finì con l'acquistare connotati ironici e offensivi («zotico, ignorante, villano, cretino») nei dialetti romanzi. Imparare a leggere e scrivere e parlare la (29) Un classico episodio di conflitto tra i due sistemi (italiano e greco) nella scuola è riferito dal periodico «Zoì ce glossa» («Vita e Lingua», luglio 1976): «[A Gallicianò] complessivamente 38 (10,3%) sono gli studenti e 42 (11,4 %) sono gli scolari, che vengono puniti quando parlano la loro madrelingua a scuola e si vedono mettere dei cattivi voti solo perché in un tema inseriscono spontaneamente termini in greco. Vorremmo sapere chi è nel giusto quando l'insegnante dice ai bambini di scrivere dei nomi che iniziano con la lettera p e i bambini scrivono pondici, che significa topo. Anzi una volta nacque una disputa tra l'insegnante che sosteneva l'inesistenza del pondici e i bambini che in coro hanno indicato col dito la figura del topo disegnato su un cartellone appeso al muro».


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La lingua della gente 'civile' della città divenne un obbligo morale, un'aspirazione di tutti. La piccola borghesia bovese, emula della vecchia nobiltà feudale, cominciò, già agli inizi del secolo, a interdire ai bambini l'uso del greco. A Reggio i paḍḍéchi sono stati confinati nei tuguri di un quartiere periferico, S. Giorgio, dove tuttora una via è chiamata strittu d'i paḍḍéchi. Dal ghetto della Grecia reggina i paḍḍéchi, detti anche spregiativamente parpàtuli «nullafacenti, mendicanti», si spargevano nelle vie della città per chiedere l'elemosina. Ciò spiega il mimetismo culturale degli odierni paddéchi che, specie a Mèlito e Reggio, fanno di tutto per dissimulare la loro origine e l'eventuale alloglossia. Anche se interpellati in greco rispondono sempre in dialetto o in italiano. Nei paesi della Piana e del pre-Aspromonte settentrionale (sede dell'isola grecanica estinta nel XVI sec.), molti paesi (Delianova,Sinopoli, Melicuccà, Sitizzano, ecc.) conservano in un quartiere denominato Grecìa la testimonianza toponomastica di questa antica emarginazione. Altri paesi hanno un quartiere basso denominato Comunìa o Comunità attestante la medesima situazione storica.

Fiorita e fantasiosa è l'aneddotica popolare sull'imbecillità dei paḍḍéchi: una locuzione assai offensiva è pari ca vèni d'a paḍḍecarìa «pare che provieni dalla terra dei greci». I termini bromu «villano rozzo», camali o camèli «babbione, sciocco», zangrèu «zotico», di origine grecanica (cfr. βρῶμος «cosa puzzolente», χαμάλης «facchino», ζαγκλαῖος «uomo della falce»), e altri lessemi di discussa etimologia (ndurru, paddali, tamarru, zàmbaru, zurgu «villano, sciocco, zotico») si usano nei dialetti reggini per connotare negativamente i montanari e i paḍḍéchi. Zangréi è il soprannome dato agli abitanti di Bova Superiore da quelli di Mèlito, Bagaladi e Palizzi, mentre pohji (da ἀπόχιος «distante»?) sono i contadini rozzi della montagna, i «cafoni» (cfr. Rohlfs 1977, s. vv.). Alcuni tratti soprasegmentali (intonazione) della parlata dei Choriàti (greci del vallone dell'Amendolea) sono motivo di derisione anche da parte dei bovesi.

L'interdizione raggiunse punte di vera e propria tabuizzazione sotto il regime fascista (30) quando, nel quadro della politica linguistica uniformatrice del regime, severe punizioni venivano inflitte agli scolari sorpresi a parlare greco (31). Fu tolta dai questionari del Censimento generale della popolazione la sezione riguardante le minoranze etnico-linguistiche e si scoraggiò ogni iniziativa culturale che potesse produrre un recupero della coscienza linguistica. Nel 1935 le autorità negarono a G. Rohlfs il permesso di tenere una conferenza sulla struttura linguistica della Calabria (32). L'epicentro dell'interdizione è chiaramente Bova, dove i vecchi di oggi conservano memoria delle punizioni subite, quand'erano fanciulli, da parte dei genitori, che pure continuavano ad usare, tra loro, il greco, lingua considerata 'ordinaria', cioè 'volgare'.

Tutti questi fattori hanno contribuito allo sgretolamento del sistema linguistico greco, assediato dalle diverse varietà locali del dialetto romanzo, la cui opera di erosione si è fatta sempre più invadente ed efficace in quanto la particolare situazione linguistica delle sub-aree immediatamente adiacenti maschera la conflittualità. Una particolare attenzione va attribuita alle subaree già greche Sinopoli-Oppido-Delianuova, Mosorrofa-Cardeto-Bagaladi-S. 

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30 In una nota del giugno 1943 si stabiliva: «Non occuparsi di produzioni dialettali e dialetti in Italia, sopravvivenze del passato che la dottrina morale e politica del Fascismo tende decisamente a superare»; cfr. F. Flora (a c. di), Stampa dell'era fascista. Le note di servizio, Roma 1945, pp. 81-82.

31 AIDLCM (1975, p. 100, n. 12).

32 Lo dichiara lo stesso Rohlfs in un'intervista concessa al periodico «Zoì ce glossa », luglio 1976.


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Lorenzo, Melito-Bova Marina-Palizzi, Brancaleone-Ferruzzano-Africo, che possono considerarsi aree-cuscinetto, dove già si è operato da secoli il trapasso dall'interferenza alla sostituzione. Un sintomo inequivocabile della decadenza strutturale è la mancanza di una varietà standard. Il bovese, che godeva in passato di indiscusso prestigio (il 'vero greco'), è venuto meno per l'emigrazione massiccia, la forte interdizione, la decadenza economica. La differenziazione nelle due varietà del bovese e dell' amendolese è radicata nella coscienza stessa dei parlanti. All'interno dello stesso amendolese, poi, si possono distinguere almeno tre sotto-varietà con particolarità morfonetiche e sintattiche rilevanti: la parlata di Gallicianò,quella di Amendolea e Condofuri e quella di Roccaforte e Roghudi. Altrettanto sensibile è la differenziazione in registri generazionali. Il vocalismo non ha subito forti turbamenti nel contatto secolare col romanzo (i due sistemi sono facilmente inquadrabili in un diasistema a cinque timbri). Diversa è stata invece la sorte dei fonemi consonantici greci estranei al sistema romanzo, come le fricative interdentali sorda e sonora. Di /θ/ greco si trovano almeno quattro esiti: [th], [x], [f], [s].

Dal gr. θεωρῶ si ha [tho'ro] a Roghudi, [xo'ro] a Bova, [fo'ro] a Gallicianò. In θηλυκός, invece, l'interdentale resiste solo a Chorlo di Roghudi ([thili'ko]), nel resto della Grecia si ha [fili'ko]. In altri casi si generalizza l'esito [x]: θαμβώνω dà dovunque [xam'bonno]. A Gallicianò [θ] diventa per lo più [s] ('salassa] < θάλασσα), esito che tende a generalizzarsi, specie nella pronuncia dei giovani (cfr. Rohlfs, 1977, p. 30, n. 34). Anche /δ/ ha esiti diversificati quando intervengono condizionamenti di contesto, ad es. negli esiti di gr. δενδρόν: [den'dro] a Bova, Roghudi e Chorìo, [fen'dro] a Gallicianò, [fren'do] a Condofuri. Mentre il bovese rende con l'affricata intensa o geminata [tts] i nessi antichi [ps] e [ks] iniziali o interni ([ttso'mi] < ψωμίον; [det'tsio] < δεξίον), l'amendolese presenta gli esiti differenziati [sp] e, rispettivamente, [ʃʃ] ([spo'mi], [deʃ'ʃio]). L'articolo determinativo è tos a Bova, ton nell'amendolese. La sibilante finale è generalmente dileguata, ma a Roccaforte e Roghudi si sente ancora nella pronuncia dei vecchi, sostenuta, a Roccaforte, dall'epentesi di [a]. Un ulteriore esempio dello sgretolamento del sistema è il trattamento del nesso [kt]: mentre il grico salentino presenta generalizzazione dell'esito [ft], con casi di assimilazione in [tt], a Roghudi e Gallicianò si ha [ft] (['daftilo] < δάκτυλος, [o'fto] < ὀκτώ, ['nifta] < νύκτα), a Roccaforte e Chorìo di Roghudi [θt], con assimilazione del luogo e dissimilazione del modo di articolazione (['daθtilo], [o'θto], ['niθta]), a Bova [st] (['dastilo], [o'sto], ['nista]); i giovani pronunciano però generalmente [rt] (['dartilo], [or'to], ['nirta]) e [tt] (['dattilo], [ot'to], ['nitta]), pronuncia, questa, che tende ad estendersi.

La lunga osmosi coi dialetti romanzi ha fruttato un interscambio a tutti i livelli. Mentre sul piano del lessico si è verificata un'immissione massiccia dai dialetti, o direttamente dall'italiano, nel greco, sul piano della morfosintassi la varietà alloglotta non ha perso la sua capacità derivazionale. Tra i più giovani è diventato tuttavia sensibilmente più veloce, automatico, il meccanismo della sostituzione: solo i più anziani dicono ['ndrepome] «mi vergogno» (< ἐντρέπομαι), normalmente si sente [vergoɲ'ɲiome] e, in bocca ai ragazzi, [mi vri'goɲɲu].

Una più particolare ed organica descrizione delle varietà di greco e il confronto con le circostanti varietà romanze, che non sono nei fini di questa comunicazione, potranno dimostrare l'avanzamento della frammentazione oltre i limiti segnalati dal Rohlfs e dal


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Falcone (33).

Il recupero dell'identità linguistica e culturale è cominciato recentemente, negli anni '50, con la sensibilizzazione di alcuni intellettuali della media borghesia per lo più residenti e operanti a Reggio e Bova Marina. Una delle spinte è stata senz'altro la frequenza delle visite di studiosi stranieri, che affrontavano lunghi viaggi per avventurarsi fra quelle montagne e interrogare i vecchi sulla lingua di cui questi si vergognavano come di una tara di inferiorità.

Nel dopoguerra la frequentazione della Grecia da parte di studiosi italiani e stranieri si è effettivamente incrementata. Tra i più noti ed assidui: G. Rohlfs, O. Parlangeli, A. Karanastasis, B. Spano, G. Valente, G. Falcone, A. Merianò, G. Rossi Taibbi, G. Caracausi. Non esistendo in tutta la Grecia alberghi o taverne, i visitatori fruivano generalmente dell'ospitalità di singoli cittadini, spesso di bassa condizione sociale, e potevano così instaurare un dialogo assai proficuo per entrambi. Molti menano vanto di aver ospitato questo o quel «maistro» straniero. Numerosi reduci della II guerra mondiale avevano anche partecipato alle campagne di Grecia e Albania, instaurando contatti occasionali con i Greci.

Tra i greco-calabresi è da segnalare, per la sua opera pionieristica, il medico di S. Carlo Antonio Nucera (m. nel 1975), che inaugurò, con il suo libro Rovine di Calabria (Reggio Calabria 1974), quel tono di autocommiserazione e di pessimismo che caratterizzerà poi l'atteggiamento della intellettualità locale. Nel 1957, in occasione delle elezioni comunali, il Nucera aveva tenuto un comizio in greco nella piazza di Gallicianò.

Nel 1968 si forma a Reggio un gruppo di studenti medi e universitari provenienti dalla Grecìa, animato dai professori Domenico Minuto, Franco Mosino, Giorgio Barone e Antonio Scordino. In dicembre esce il ciclostilato «La Jonica», che dichiara come suo principale obbiettivo:

«Far sì che la meravigliosa lingua greca di Calabria, abbandonata dalla nostra gente come marchio della sua inferiorità e oggetto catalizzatore della derisione da essa subita, divenga motivo di orgoglio, segno di una nobile tradizione, valore non inconsapevolmente tramandato, ma consapevolmente coltivato e difeso».

Alcuni chierici del Collegio greco di Roma si aggregano al gruppo con l'intenzione di ravvivare la tradizione liturgica greca e il sogno di ripristinare il rito greco. Nel 1970 il gruppo si trasforma in «Circolo Culturale 'La Jonica' dei Greci di Calabria»; il periodico «La Jonica» pubblica testi in prosa e poesia in greco e italiano. Si verifica anche qui il fenomeno ormai consueto a tutte le minoranze discriminate: la borghesia e l'intellettualità locale, ormai irreversibilmente italofona, si erge a paladina di una lingua che i veri fruitori intendono invece ad ogni costo abbandonare.

Si allacciano contatti con altre “culture minacciate”, con l'AIDLCM, ai cui Congressi è presente sempre una delegazione degli italo-greci di Calabria. Dall'incontro coi Griki del Salento nasce l'UGIM (Unione Greci dell'Italia Meridionale). Si chiede invano all'Ente Provinciale Turismo l'affissione dei cartelli stradali bilingui e a Radio Cosenza la concessione di cinque minuti di trasmissione per i Greci. Sorgono poi le Radio private (Radio Bova, Radio Mèlito e Radio S. Paolo a Reggio), che si dimostrano più sensibili. Per la prima volta la gente ha modo di ascoltare dagli apparecchi radiofonici, simbolo del progresso in nome dell'italofoma, gli accenti della propria lingua. Il Governo di Atene allaccia stretti rapporti con (33) Rohlfs (1977); Falcone (1973).


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«La Jonica»; l'«Associazione Internazionale degli Ellenofoni» (SFEE) di Atene invita i ragazzi greco-calabresi a una colonia estiva finanziata ogni anno dalla Banca di Grecia. Un gruppo di studenti è ospitato nelle università greche per un periodo di due mesi. Si organizzano i primi corsi privati gratuiti di greco per bambini e adulti. Finalmente viene concesso un corso popolare a Gallicianò, poi un altro nella scuola media di Condofuri. Gli insegnanti, però, ricevendo uno stipendio ridotto e nessun punteggio, rinunciano alla nomina.

Una contadina di Gallicianò, Jolanda Condemi, vince il concorso letterario «Giugno Locrese» con una poesia che suscita l'interesse di P. P. Pasolini. In occasione delle alluvioni si organizzano i primi cortei di protesta, che arrivano fino a Reggio, dove interviene la polizia. Nello spazio di un decennio sorgono altri tre circoli: «Zoì ce glossa» («Vita e lingua»), animato dai gallicianoti di Reggio, «Cinurio Cosmo» («Mondo nuovo») a Bova Marina e «Apodiafàzi» («Sorge un nuovo giorno») a Bova Superiore. Gruppi di studenti e professionisti cominciano a studiare la lingua, decisi a promuovere un ormai utopico trilinguismo. Viene proposta la costruzione di un unico grande centro abitato per i grecofoni, sui campi di Scafi o sui campi di Bova, piccoli altipiani dell'Aspromonte. Rivalità di campanile scatenano a questo punto aspre contese, che oppongono i circoli minori a «La Jonica», e assumono chiare valenze politiche, con immancabili ripercussioni sul modo di affrontare il problema grecanico. Il 'risveglio', anche se gestito dall'intellettualità borghese, ha tuttavia coinvolto larghi strati di proletariato anche analfabeta, incidendo sul comportamento e sull'atteggiamento linguistico.


4. L'INCHIESTA

Le considerazioni che seguono sono il frutto di una prima analisi dell'inchiesta svolta nella Grecia calabrese con lo scopo di enucleare alcuni tratti pertinenti dell' a t t e g g i ame n t o linguistico delle persone residenti all'interno dell'area alloglotta, in rapporto al reale comportamento e ai diversi tipi di competenza dei tre codici fruibili. I materiali raccolti si mostrano altresì utili per la valutazione del tipo di i d e n t i tà   c u l t u r a l e  raggiunta all'interno della minoranza grecofona. Nelle conversazioni, effettuate sulla scorta di una scheda da campo, ho usato prevalentemente il dialetto romanzo locale (34)Molti anziani si sono rifiutati di parlare, appena accortisi che l'argomento di conversazione era la lingua. Durante le conversazioni effettuate nei domini di comportamento linguistico più rilevanti (in casa, per strada, sul posto di lavoro), si è cercato di ricavare informazioni e valutazioni sui seguenti punti:

a) notizie biografiche: età, luogo di nascita, luogo di residenza, attività lavorativa,eventuale emigrazione, situazione di famiglia;

b) lingue conosciute;

c) tipo di competenza (ruoli); 

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(34) Da notare che la frequente omonomia degli informatori non presuppone appartenenza allo stesso ceppo familiare. I cognomi greci sono pochi e diffusissimi; fra i più frequenti: Nucera, Condemi,Siviglia, Maisano, Stelitano, Auteliano, Rodà, Zavettieri, Modafferi. Anche i nomi di battesimo siripetono rigidamente a generazioni alterne.


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d) situazioni d'uso; scelta e conversioni di codice;

e) valutazioni personali sui tre codici;

f) opinioni sulle cause della ‘decadenza’ del greco.

Queste informazioni sono servite ad integrare i dati del questionario distribuito agli alunni delle scuole medie, che comprendeva, inoltre, un test sulla competenza attiva e passiva del greco e del dialetto. Gli elaborati scritti (ne sono stati consegnati 54) si sono rivelati ricchi di informazioni sulla competenza dell'italiano. I 250 questionari sono stati distribuiti nelle scuole medie di Roccaforte, Condofuri, Mèlito Porto Salvo e Bova Superiore. Sono stati restituiti, compilati integralmente o parzialmente, 185 questionari, così suddivisi: Bova: 41; Roccaforte: 56; Roghudi: 31; Condofuri: 57.

4.1. Dei 50 informatori adulti, 29 superano i 40 anni di età e di essi circa il 50 % è analfabeta; 19 su 50 sono emigrati almeno una volta per un periodo che oscilla tra i due e i dodici anni. Le destinazioni emigratorie più frequentate sono Domodossola, Milano, Svizzera, Belgio. Coloro che hanno studi superiori (medi o universitari) sono meno di un quinto del totale. Le donne adulte sono quasi tutte casalinghe. Questi dati concordano con quelli dichiarati dagli alunni nei questionari, dove risultano le seguenti quantificazioni sull'attività lavorativa dei genitori:

PROFESSIONE DEL PADRE DELLA MADRE

93: nessuna indicazione

31: contadino

14: pastore

13: bracciante

7: manovale

6: muratore

3: disoccupato

2: impresario

2: pensionato

14: altri

100: nessuna indicazione

81: casalinga

3: contadina

1: barista

È da presumere che molte delle caselle vuote per la professione del padre vadano integrate con la dizione «bracciante», «pastore», «contadino», essendo per molti ragazzi una difficoltà dichiarare una professione paterna considerata umile e quasi disonorevole. L'aspirazione promozionale si rileva in alcune risposte che qualificano il padre «impresario», «caposquadra», «impiegato» o evitano di dichiararne la precisa mansione preferendo circonlocuzioni come «lavora in una ditta», «lavora col comune», «lavoratore».

Gli informatori adulti dichiarano di conoscere bene il dialetto e l'italiano (ma di questo la maggioranza ha solo competenza passiva). Per quanto riguarda il greco, solo a Bova, Gallicianò, Roghudi e nei due Chorio si trovano persone capaci di sostenere un dialogo in greco. Ma le conversioni di codice, anche nel dialogo fra anziani, sono frequentissime in ogni situazione. Un gruppo di universitari aderenti ai circoli grecanici ha imparato solo recentemente, in modo imperfetto, il greco, mentre la maggioranza della popolazione giovane e non giovane dichiara una conoscenza imperfetta («solo qualche parola»). Alcuni anziani roghudesi domiciliati a Mèlito hanno dichiarato inizialmente di ricordare poche parole, ma


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poi, stimolati dal contesto situazionale, hanno rivelato una piena competenza sia attiva che passiva. Per quanto riguarda i ruoli occorre notare che tutti 'pensano' in dialetto e la struttura di questa varietà sottostà normalmente alla generazione degli enunciati non solo dialettali, ma anche italiani e greci. Il ruolo attivo del greco è dominio di pochi anziani: «Anche quando eravamo piccoli succedeva che i grandi ci parlavano in greco, ma noi dovevamo rispondere in dialetto» (35); «Cu li vecchi parramu grecu, cu li giuvani talianu» (36).

Per quanto riguarda le situazioni d'uso, la compartimentazione delle varietà appare rigida. In genere, se il discorso tende a farsi formale e sostenuto, si cerca di adeguarsi ad ogni costo alla varietà più prestigiosa. Nell'impossibilità di farlo ci si esclude dalla conversazione. Il dialetto ricopre la più ampia gamma di situazioni ed è il codice dell'interazione quotidiana, il meno marcato socialmente. Per il greco si è creata una nuova situazione d'uso, occorrente quando la presenza di estranei risveglia il sentimento di revanscismo e la necessità di identificazione culturale (tra gli intellettuali o gli emigrati).

La coscienza dell'insufficienza lessicale e debolezza strutturale del sistema linguistico minoritario suggerisce giudizi di valore del tipo «greco bastardo» a, «greco dialettale», «greco ordinario» e talvolta valutazioni più puntuali sulla frammentazione interna all'area alloglotta: «Li Choriati parranu a cantilena; lu nostru grecu è cchiù sciuttu e cchiù pulitu» (37).

Alcuni avvertono la grande quantità di interferenze come un fatto negativo e rilevano l'insufficienza lessicale del greco nei campi semantici estranei al mondo agro-pastorale. Un informatore (38) dichiara che conosce il greco, «ma non quello antico, questo dialettale, chi è mbiscatu cu lu dialettu. pecchi pe ttanti cosi non si trova la palora». Fra gli altri motivi della decadenza del greco vengono individuati i seguenti:

a) senso di vergogna, esplicito nei meno alfabetizzati, non dichiarato, ma altrettanto evidente, nei più alfabetizzati: «Non lo parliamo più perché ci chiamano paḍḍeki e parpatuli» (39); «Ndi pigghianu in giru» (40);

b) è inutile per la comunicazione: «il dialetto è meglio, lo sanno tutti» (41);

c) la comunità si è disgregata: «Ora simu distaccati, prima èramu uniti» (42) ; «Prima èramu a lu paisi,ora

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35 Francesco Nucera, di Gallicianò, 43 anni, operaio. 

36 Olimpia Zavettieri, di Roghudi, 84 anni, domiciliata a Mèlito. La stessa informatrice, salutata ingreco con le parole «kànnete kalà pràmmata», risponde in dialetto: «gràzzii».

37 Iriti Pietro, di Bova Superiore, 67 anni, agricoltore.

38 Salvatore Modafferi, di Roghudi, 45 anni.

39 Domenico Nucera, di Gallicianò, 24 anni, universitario. Parpátulo è formazione deverbale da gr. περιπατῶ ‘andare in giro’.

40 Francesco Modafferi, di Roghudi, dom. a Mèlito («Ci prendono in giro»).

41 P. Trapani, 18 anni, di Roghudi, dom. a Mèlito.

42 F. Modafferi, cit. Il termine stranìa, in opposizione a Grecìa, sembra testimoniare un sentimento di identità etnico-culturale.


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simu a la strania» (43); «La nuova gioventù è emigrata, li vecchi si stannu perdendu, partono per il cimitero» (44);

d) ragioni di promozione sociale: «Ai figli parlavamo italiano perché lo imparassero, per sapersi esprimere con gli estranei» (45);

e) è difficile: «Non si comprende bene, non mi applìco» (46);

«Grecu lu capisciu, ma parrari non sugnu bonu, mi mbrogghiu» (47).

Il fatto più rilevante è che non esiste in tutta la Grecia nessun gruppo monolingue. Anche gli informatori di Gallicianò (48) dichiarano che in paese tutti conoscono il dialetto dalla nascita.

4.2. Per quanto riguarda i ragazzi tra gli undici e i quattordici anni, alunni della scuola media inferiore, l'atteggiamento verso la lingua appare sensibilmente discordante dal reale comportamento. Nessuno, infatti è in grado di sostenere una conversazione in greco, ma alla domanda «Quale lingua preferisci: italiano, dialetto, greco?», il 15 % risponde «greco», dando però motivazioni vaghe o genericamente nostalgiche: «A me piace il greco perché lo parlano i miei genitori e non voglio che si perda»; «è una lingua antica e bella»; «si parlava al tempo antico»; «è una lingua istruttiva ed è peccato che si perda»; «l'hanno parlato i nostri antenati».

Gli unici due che sentono l'esigenza di impararlo perché usato dai genitori sono figli di pastori. Circa il 50 % preferisce l'italiano, esponendo motivazioni di tipo: «Preferisco l'italiano perché nel mio paese dobbiamo stare educati»; «tutte le regioni parlano italiano»; «è la lingua nazionale»; «in italiano le parole si capiscono più bene»; «nelle città è la lingua più frequentata»; «la gente moderna parla italiano»; «se vado in altri luoghi mi capiscono meglio»; «sono italiano e amo la mia Patria».

Particolare attenzione meritano le seguenti risposte: «Sono molte le motive»; «Preferisco l'italiano perché se io dovessi andare in una città non saprei parlare l'italiano e se qualcuno mi diceva qualcosa io non capirei e se parlavo con qualcuno mi prenderebbe in giro»; «Preferisco l'italiano perché spero di non fare mala figura con il prossimo, il dialetto perché lo parlano tutti, il greco perché è la nostra lingua antica»; «Preferisco l'italiano perché si parla anche a scuola con gli insegnanti e da questa si possono apprendere le altre».

L'indiscutibile prestigio dell'italiano nella coscienza dei ragazzi emerge, inoltre, dall'atteggiamento verso il dialetto. La percentuale dei dialettofoni, anche a scuola, è infatti

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43 Domenico Pangallo, di Roghudi, 52 anni.

44 G. N. Stillitano, 74 anni, di Roghudi.

45 Nucera Filippo, 43 anni, di Gallicianò, emigrato in Svizzera.

46 P. Trapani, cit.

47 Francesco Modafferi, 43 anni, di Roghudi, emigrato: «Il greco lo capisco, ma, quanto a parlare. non sono capace, mi imbroglio».

48 Domenico Nucera, 69 anni, agricoltore; Filippo Nucera, 43 anni, agricoltore; Mimmolino Nucera, detto Jatrudaci, 24 anni, studente di medicina; Domenico Rodà, 27 anni, laureato in lettere; Mimmo Nucera, 35 anni, detto Mulinaru.


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superiore a quel 35 % che dichiara di preferire il dialetto. Le motivazioni apportate da coloro che preferiscono il dialetto sono assai pertinenti e concrete: «al mio paese usano l'indialetto e lo parlano sempre»; «il dialetto è la lingua principale»; «Mi piace»; «Preferisco il dialetto perché fin da piccolo sono stato abituato a ricevere questa lingua e quindi se dovessi parlare l'italiano sempre non ci riuscirei. In quanto al greco ho una mezza simpatia»; «Fin da piccola sono stata abituata a questa lingua»; «Preferisco il dialetto perché è una lingua che a Bova Superiore la parlano tutti».

Alla domanda «Gradiresti l'insegnamento del greco a scuola?» la maggioranza (circa il 70 %) risponde positivamente. Anche molti di coloro che 'non gradiscono' il greco dichiarano subito di gradirne l'insegnamento scolastico. Dalle motivazioni apportate, però, si intuisce che non è questa una reale esigenza, ma un atteggiamento vagamente e superficialmente culturale, quando non indotto dall'intervento inopportuno dell'insegnante. Sono state date motivazioni di questo tipo: «È una lingua antichissima»; «È una lingua interessante ed antica»; «Perché Roccaforte è stata una fortezza dei Greci»; «Ci fa conoscere la meravigliosa civiltà»; «Mi piace molto sentire parole greche»; «Mi piacerebbe molto parlare la lingua dei miei antenati»; «Ci divertiremmo di più»; «Per fare andare avanti la lingua greca vorrei che nuovamente si parlasse»; «Perché era la lingua dei nostri nonni e nella lingua italiana ci sono molti vocaboli greci».

È presente in alcuni la curiosità verso una lingua sentita inconsciamente come 'straniera'. Taluni addirittura mostrano di confonderla con la materia insegnata nei Licei (il greco classico): «È una materia importante»; «Penso che accrescerebbe la mia cultura». Coloro che dichiarano di non gradire l'insegnamento del greco (il 30 %) rivelano residui dell'interdizione tradizionale che, quando non sono espliciti, si tradiscono nelle espressioni generiche: «Non mi piace»; «È difficile». Assai marcata è la coscienza della inutilità per la comunicazione: «Nel mio paese non lo parlano»; «Da molto tempo non lo parliamo e per imparare questa lingua ci vogliono molti anni»; «Non so leggerlo né scriverlo»; «Ai giovani non piace e quelli che lo sanno non lo parlano per non essere presi in giro»; «Mi viene difficile parlarlo»; «Secondo me sarebbe inutile parlare questa lingua, anche perché molti di noi ragazzi non continuano le scuole». Alla domanda «Perché pensi che il greco non si parla più come una volta?», alcuni rispondono con un'icastica tautologia: «Perché non si parla più»; «Perché non c'è questa usanza»; «Perché si è dimenticato». Altri individuano le seguenti cause: «Gli anziani sono morti e i giovani non lo sanno parlare»; «I vecchietti sono morti»; «Non ci sono più Greci»; «I giovani non vogliono riportare più questa usanza»; «Questa lingua ai giovani non interessa».

Quelli che individuano la responsabilità nella scuola si esprimono così: «Perché mancano scuole di greco»; «Perché non ci sono scuole»; «Perché nessuno lo studia»; «Perché non c'è mai stato l'insegnamento»; «Perché l'insegnamento non è stato mai introdotto nella scuola media».

Altri avvertono il conflitto con gli altri codici a disposizione e lo esprimono così: «Il greco si è perso perché è più facile parlare altre lingue»; «La gente è più moderna e preferisce parlare l'italiano»; «Siamo in epoca moderna»; «I tempi sono cambiati»; «Perché le persone garantiscono l'italiano»; «Perché ormai è più diffuso il dialetto»; «Perché ormai tutti parliamo il dialetto e il greco lo sanno solo i vecchi»; «Penso che il greco non si parla più come una volta perché è un po' difficiletto a parlarlo».


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Altre cause individuate: l'emigrazione: «Per motivi di lavoro la gioventù è emigrata e si è aggiornata sempre con il nuovo progresso»; «Emigrazione da una regione all'altra»; «Nessuno pensa più a fare studi di greco. Quelli che rimangono si fanno professori e non pensano al greco»; «I nostri genitori emigrano verso le città»; l' emarginazione: «Non c'è mai stata una scuola e la lingua greca è stata emarginata dagli intellettuali del luogo»; «Credo che quando veniva altra gente li prendevano in giro»; «Quelli che lo sanno non lo parlano per non essere presi in giro»; «Non si parla più perché la gente lo scherzavano».

Come test per verificare la conoscenza della lingua minoritaria sono state sottoposte a ogni alunno 9 parole grecaniche di media frequenza: folea «nido», nasida «striscia di terreno irriguo lungo il letto di una fiumara», pappù «nonno», naca «culla», piruni «forchetta», vùrvitu «sterco bovino», velani «ghianda», mistra «cucchiaio», ghitonìa «vicinato», di cui i primi cinque sono ormai solidamente penetrati nel lessico romanzo. Si è chiesto di individuarne il significato e la lingua (dialetto o greco) a cui appartengono. Si è verificato che il 20 % non ha fornito alcuna risposta. Solo il 15 % ha individuato l'esatto significato di tutti i lessemi. Frequentemente la risposta fornita è il corrispondente lessema dialettale. Vurvitu «sterco bovino» è tradotto quasi da tutti «fumeri», da altri «buina», «bovino», da uno solo «sterco bovino». To piruni, che in greco è la «forchetta», ma nel dialetto romanzo il«punteruolo di legno», è tradotto dalla maggioranza con «legno». Un ragazzo di Roghudi individua le due specializzazioni semantiche: «forchetta e pezzettino di virgulto». Mistra «cucchiaio» è tradotto quasi sempre «cucchiaia», «cucchiara», in un caso «attrezzo che spara». Della semantica di ghitonìa sono attestate tutte le connotazioni possibili: «cortile»,«ruga», «vicini», «chiesa»; così di nasida: «isola», «orto», «pezzo di orto», «presa di acqua»,«orto vicino al fiume», «giardino vicino al fiume». Un risultato significativo è che, per la maggioranza degli alunni, queste parole appartengono al dialetto, non al greco.

Un secondo test integrativo consisteva nella traduzione in dialetto e poi in greco di dieci parole o locuzioni, di cui otto caratterizzate da un alto grado di occorrenza nel registro di comunicazione popolare: letame, ginestra, acqua, vino, lingua, testa, un dito, tre alberi, mallo della noce, riccio della castagna. Il 90 % di coloro che rispondono al questionario è in grado di fornire le dieci forme dialettali corrispondenti; il restante 10 % dà, almeno in un caso, il sinonimo italiano dialettizzato (per es., letame è glossato «concimi», invece che «fumeri»). I corrispondenti lessemi e sintagmi greci sono conosciuti nella misura dei 3/10. Coloro che forniscono il numero maggiore di risposte per il greco sono i ragazzi di Chorìo di Roghudi e Gallicianò e, in genere, coloro che nell'elaborato scritto si pronunciano a favore della sopravvivenza del greco, ma non sempre gli appartenenti a famiglie di pastori o contadini.

Un ulteriore test integrativo dei precedenti si è articolato nella traduzione di quattro enunciati brevi (dei quali l'ultimo è un proverbio), disposti in un ordine crescente di difficoltà:

1) «Voglio andare a casa»; 2) «I nonni parlano con i bambini»; 3) «Porta il vino, il pane e la carne»; 4) «Quando nevica alla montagna i lupi scendono alla campagna».

Di essi si è richiesta la traduzione in dialetto e in greco. Anche in questo caso, per la maggior parte, le risposte sono state fornite dagli alunni provenienti da Chorìo di Roghudi, Gallicianò e dalle campagne di Bova. I più si sono accontentati di dare la traduzione dialettale. Gli errori di segmentazione nella resa grafica rivelano l'incapacità di analizzare correttamente l'enunciato greco con criteri sintattici.

Delle quattro frasi greche proposte, tre proverbi (Ta guài ti zukka ta zeri i mistra «I guai della pentola li sa il mestolo»; Sto spiti pu tragudài i pudda den ganni mai iméra «Nella casa


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dove canta la gallina non fa mai giorno»; To ciumithì poddì kanni àcharo «Il dormire troppo fa male») e un verso di un canto popolare (Ecìno è mega c'egò imme miccedda « Lui è grande e io sono piccolina»), solo pochissimi forniscono la traduzione esatta. In genere, anche i ragazzi di Chorìo e Gallicianò, individuano solo singoli segmenti.

Gli elaborati scritti presentano aspetti di estremo interesse per valutare il grado di interazione tra i vari repertori verbali dei tre codici. Fortissime le interferenze dialettali nell'italiano. Si può dire, in certi casi, che siamo di fronte a una lingua franca dove sono presenti non solo le costanti comuni all'italiano popolare (ridondanza pronominale, uso inverso degli ausiliari, smarrimento delle concordanze logiche, concrezione o discrezione dell'articolo o delle preposizioni, dialettalismi lessicali, ecc.), ma soprattutto manca il controllo delle valenze dei semantemi più comuni e si costruiscono le frasi italiane con la struttura sintattica dialettale. Il fatto più interessante non è tanto la scarsa dimestichezza con la normativa sintattica e ortografica dell'italiano, quanto questa incapacità di controllare i meccanismi semantici. Si leggono frasi del tipo: «Il greco si perde perché i vecchietti si stanno diffondendo e con essi si diffonde pure la lingua».

Ecco come sono espresse, in alcuni stralci di elaborati, le costanti principali dell'atteggiamento linguistico.

a) Inferiorità del greco:

«Nel mio paese moltissimi hanni fa si parlava il greco. Quelli che non parlava il greco scherzavano a queli che lo parlavano e così a poco a poco si distrusse il greco»; «Una volta nel nostro paese i nostri altenati (sic) parlavano il greco, però appena nati i nostri genitori le hanno insegnato di parlare il dialetto perché pensavano che questa lingua fosse incivile»; «I giovani di oggi quando la sentono parlare dicono che non gli interessa perché non si deve parlare e non la vogliono sentire»; «Questa lingua nel mio paese si è dispersa perché crescevamo frequentando le altre persone che non parlavano questa lingua; dicevano che i contadini erano stupidi e così i contadini per non fare far mala figura ai propri figli non parlavano»; «Noi ragazzi non capiamo e sentendo quelle parole che ci sembrano strane ci mettiamo anche a ridere»; «Col passare del tempo questa lingua non fu più parlata, perché l'altra gente che non parlava questa lingua scherzava le persone che parlavano questa lingua»; «Un altro problema per cui questa lingua ha perso il suo valore è questo; andando nelle città a dire ai giovani se vogliono imparare questa lingua, questi giovani ci prendono per primitivi e selvaggi»; «Si pensa che questa lingua sia ormai fuori moda, che sia una cosa morta e che non rechi alcun utile allo studioso, in quanto la lingua per mezzo della quale si comunica sia l'italiano, l'inglese, il francese, in quanto sono mezzi di comunicazione commerciali»; «Questa scomparsa è stata causata dai giovani, perché crediamo sia una lingua di nessuna importanza e non si vuole che questa tradizionale lingua venga avanti nel corso degli anni e non si impara; la causa però non è soltanto dei giovani che non vogliono impararla, ma anche delle persone che, pur conoscendo il greco non vogliono insegnarlo ai loro figli perché temono che andando in un altro paese possono essere presi in giro»; «Sono molti i motivi per cui questa lingua è finita. Prima perché siamo in un'epoca moderna, e chi va nelle grande città sono trattati come bestie dalla lingua di cui parolano, come è successo nel mio paesi che sono andati a Reggio C. e sono stati maltrattati scherzati presi in giro davanti a tutti e allora si è smesso di parlare questa lingua».

b) Degradazione é inquinamento del sistema linguistico per l'interferenza degli altri codici:


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«Moltissimi anni addietro grandi e piccoli parlavano il greco. Certo non è il greco originale della Grecia, ma è un greco dialetto. Molte parole, però, ci sono arrivate con un altro suono e con un'altra pronuncia, le altre parole non ci sono per niente arrivate»; «Il greco è cominciato a perdersi nel mio paese con l'avvento del progresso, primo fra tutti l'insegnamento scolastico della lingua italiana»; «Il paese è incominciato a essere più civile, la gente si è incivilizzata, hanno costruito le scuole medie che prima non c'erano»; «Nel mio paese si parlavano due lingue il greco e l'indialetto; l'indialetto si parla in alcune città e il greco invece non si parla»; «Ora nei nostri paesi ci sono le scuole e noi parliamo l'italiano perché i nostri insegnanti ci obbligano a parlare questa lingua».

c) E m i g r a z i o n e come incentivo alla sostituzione:

« I nostri genitori emigrano per altre città di cui parlano l'italiano, se parlano in greco non li capiscono»; «Purtroppo col passare degli anni che pian piano la gente del paese emigrava, imparava a parlare altre lingue sconosciute e ritornando al paese natio non adoperavano più il linguaggio comune. Per questo questa l'ingua venne esclusa».

Non mancano, tuttavia, esempi di sblocco dell'interdizione, che documentano un reale recupero di identità culturale, specialmente se si considera che questo recupero non è dovuto all'azione della scuola, che continua ad essere repressiva:

«Quando era piccola i miei genitori si scambiavano frasi in greco e a me veniva la voglia di prenderli ingiro, ma ora sono più grande e conosco i numeri fino a 20 e alcune  parole come pane (spomì), acqua (nerò), vino (crasì) e so anche come si chiama Roccaforte in greco, così: (Vunì); «Adesso grazie ai circoli che si sono formati avemo modo di imparare e coltivare la lingua parlata per molti secoli da un popolo guerriero che visse dalle nostre parti proveniente dal Peloponneso»; «Io quando sono andata alla gita ho visto il teatro greco e mi è piaciuto molto»; «Per pochi giorni è venuto alla mia scuola un professore che parlava il greco e ce lo imparava anche a noi. Lui per imparare questa lingua è andato ad Atene, che si trova vicino alla Grecia»; «Adesso io spero che venga presto una legge obbligata per il greco, così, oltre a farmelo insegnare dai genitori o dai nonni lo imparerei anche a scuola».


5. CONCLUSIONI

Il repertorio verbale della popolazione della Grecìa calabrese comporta una gamma di almeno quattro varietà: 1) italiano parlato formale; 2) italiano colloquiale informale, costituito dalla varietà regionale di italiano; 3) il dialetto romanzo reggino, differenziato in varietà locali; 4) il greco.

La compartimentazione delle varietà per classi sociali si presenta abbastanza rigida da consentire di individuare una esigua minoranza di appartenenti alla piccola e media borghesia che domina quasi l'intera gamma dei codici, compreso il greco, la cui conoscenza è divenuta per molti un'esigenza culturale, una raffinatezza, un 'fiore all'occhiello'. Dalla competenza attiva delle prime due varietà restano naturalmente esclusi i ceti più bassi: operai, contadini,pastori. Una ristretta minoranza di contadini e pastori analfabeti anziani è esclusa anche dalla competenza passiva dell'italiano. L'unica varietà la cui competenza appare generale,ricoprendo tutte le classi sociali e di età, è il dialetto romanzo. Del greco circa il 10 % (tutti


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sopra i 40 anni) ha competenza attiva e passiva, il 25 % solo passiva. Le varietà che intervengono nell'interazione verbale quotidiana sono però, come già si è detto, il dialetto romanzo, l'italiano regionale e il greco, fermo restando che la varietà più usata, perché più libera da connotazioni sociolinguistiche, è il dialetto.

La specializzazione funzionale dei tre codici è marcata: l'italiano resta l'unica varietà scritta, disponibile per i rapporti formali e per gli argomenti che non trovano negli altri codici il materiale lessicale necessario. Il tentativo dei circoli grecanici di introdurre (con giornali, cartelli stradali, manifesti, corrispondenza privata) l'uso scritto del greco resta evidentemente un atteggiamento velleitario. Nella comunicazione quotidiana informale il greco si pone dunque come codice ridondante, in quanto non indispensabile all'interazione verbale, ma funzionale solo all'integrazione simbolica. L'abilità di commutazione da una varietà all'altra si manifesta massima tra le persone di media età e cresce proporzionalmente con il grado di istruzione.

Nonostante la comparsa, in questi ultimi anni, di un certo numero di trilingui, si può dire che la sostituzione del greco è già avvenuta, se per sostituzione intendiamo, con il Weinreich, il «cambiamento dall'uso abituale di una lingua a quello di un'altra». Il codice minoritario si è potuto tuttavia conservare in vita perché si è specializzato per due precise funzioni: l'identificazione simbolica, culturale ed etnica e la comunicazione criptolalica.

La funzione criptolalica, a cui il greco dell'Aspromonte assolve, come le altre lingue minoritarie, si esercita su due piani: a) identificazione culturale degli anziani con esclusione dei giovani dialettofoni ed italofoni; b) identificazione culturale della minoranza rispetto all'entourage romanzo. Molti dichiarano di usare il greco nei negozi, a Reggio e Melito, al momento degli acquisti, per non far capire le proprie intenzioni ai negozianti. Persino i ragazzi, negli ambienti scolastici, adoperano le poche frasi che hanno appreso dai vecchi per non farsi capire dai compagni.

La necessità di identificazione etnico-linguistica, accentuatasi negli ultimi anni, ha assunto valenze politiche: la decadenza del greco è vista come il paradigma dell'oppressione della cultura subalterna da parte di quella predominante. Ma questa 'presa di coscienza' dimostra, a un'analisi approfondita, la sua precarietà, poiché resta circoscritta, con le necessarie eccezioni, alla classe medio-borghese. Può instaurarsi il paragone con i noti “moti di Reggio”, in cui attorno a un altro simbolo campanilistico (il capoluogo) si è identificata la totalità della popolazione, ma solo per un momento. Poi è ritornato il riequilibrio delle componenti sociali nello status quo ante.

In conclusione, la situazione sociolinguistica della Grecia calabrese si presenta attualmente in rapida evoluzione. Al bilinguismo con diglossia italiano/greco si va sostituendo la diglossia italiano/dialetto che garantisce, meglio della precedente, la distinzione sociale dei ruoli. Si tratta, in questo caso, di una diglossia senza bilinguismo, comportante l'uso generalizzato del dialetto e la compartimentazione sociale e culturale dell'italiano. C'è una stretta correlazione tra condizione sociale e scelta di codice, al momento dell'interazione verbale, per quanto riguarda l'alternativa italiano/dialetto. Per quanto riguarda invece l'alternativa dialetto/greco la correlazione è tra età e scelta di codice. Le variabili condizione socio-culturale, situazione, destinatario e argomento condizionano i fenomeni della conversione di codice, tendendo ad escludere la varietà più debole e meno prestigiosa, il greco. Da questa ricognizione non risultano elementi sufficienti per definire il ruolo della differenza di sesso nel comportamento


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linguistico.

Per quanto riguarda la scuola media, occorre precisare che la mancanza di un metodo contrastivo nella didattica linguistica impedisce ai ragazzi di controllare i meccanismi di produzione degli enunciati e di riconoscere la provenienza delle interferenze. Gli attuali insegnanti sono assolutamente impreparati a tale compito e, quando non ignorano del tutto l'esistenza della lingua minoritaria, non riescono a scorgerne le implicazioni glottodidattiche.

Eppure l'italiano standard non è lingua materna per la quasi totalità della popolazione scolastica. Per i ragazzi delle classi più umili la scuola dell'obbligo rappresenta il primo impatto con l'italiano.


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