La breve vita infelice di Rocco Carbone
Nato a Reggio,
cresciuto a Cosoleto, l'inquieto scrittore calabrese se n'è andato a soli 46
anni. Un libro sulla sua vita si è aggiudicato lo Strega nel 2021 e oggi le sue
opere tornano in libreria. Ma il mistero sulla sua personalità resta
Antonio Pagliuso
11 Ottobre 2023
Un uomo inquieto, contraddittorio,
dal carattere ruvido, aspro, spigoloso, peculiarità tutt’altro che affabili che
provavano a mettere in secondo piano, a nascondere in maniera impacciata, come
un consunto separé, un animo sensibile,
fragile, afflitto da una profonda infelicità, di quelle
infelicità oscure, che non hanno una origine ben chiara, legate a un episodio
distinto della vita, ma che accompagnano l’individuo fin dalla nascita, come un
gravoso lascito generazionale, uno scotto da pagare per essere venuto al mondo.
Lo scrittore Rocco
Carbone è stato questo, anche e probabilmente. Sì, perché
sarebbe poco riguardoso e molto presuntuoso dare una definizione ultima a una
persona che sfuggiva anche ai suoi affetti più stretti. Così
complicato, così indecifrabile da restare cristallizzato, per sempre, coi
tratti dell’enigma, come una di quelle tele rinascimentali di
cui non si riesce a decriptare ogni particolare.
Rocco Carbone e la giovinezza a Cosoleto
Rocco Carbone
nacque a Reggio Calabria nel 1962 e trascorse
la sua infanzia e adolescenza a Cosoleto, paesino alle pendici
dell’Aspromonte, contornato da uliveti e affacciato sulla Piana di Gioia, fra
quelli più colpiti dal flagello dell’emigrazione. Negli ultimi
settant’anni Cosoleto ha perso quasi duemila abitanti, la popolazione
attuale del comune non supera gli ottocento residenti.
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Una strada di Cosoleto |
«Un posto –
scrive Emanuele Trevi, scrittore e amico di Carbone, cui ha
dedicato, parimenti a Pia Pera, il memoir Due vite,
libro vincitore del Premio
Strega nel 2021 – di gente dura, fiera,
taciturna, incline a una rigorosa amarezza di veduta sulla vita e sulla
morte». Tutti connotati propri dello scrittore calabrese, che portò con sé fino al
termine dei suoi giorni, come la resistenza alle lunghe camminate, propensione
vista al pari di un retaggio culturale e genetico assolutamente naturale in una
terra come la Calabria, in buona parte tagliata fuori da una reale rete
infrastrutturale.
Gli studi e l’improvvisa morte
Figlio di
madre maestra elementare e di padre a lungo sindaco di Cosoleto, Rocco
Carbone al principiare degli anni Ottanta si iscrisse a Lettere a Roma,
vivendo nel Collegio dei frati silvestrini, in una cameretta spoglia affacciata
su una distesa compatta di tetti fra cui spiccavano le cupole del Pantheon e
della Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza.
È nella Città Eterna che visse per gran parte della sua vita e in cui incontrò
la morte, che segnò la sua ora nella notte fra il 17 e il 18 luglio
2008.
Rocco Carbone si spense improvvisamente, a 46 anni, in un incidente stradale
a bordo della sua moto, su cui era fatalmente salito in quanto gli era
stata rubata l’automobile qualche giorno prima. Da poco era ritornato dagli
Stati Uniti d’America, dove aveva preso parte a una serie di seminari.
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Roma, il monumento a Scanderbeg in Piazza Albania |
L’incidente
avvenne in zona Ostiense, dinanzi alla statua equestre di Giorgio Castriota
Scanderbeg di piazza Albania, l’eroe albanese
celebrato nella natia Calabria, su una strada deserta dell’estate
romana, proprio come quelle descritte nel suo romanzo Agosto, opera
prima edita, dopo una contenuta, ma insopportabile per l’autore, tribolazione
editoriale, nel 1993 da Theoria e adesso
ripubblicata da Rubbettino.
La ripubblicazione dell’opera di Rocco Carbone
La casa editrice con sede a
Soveria Mannelli ha infatti intrapreso il progetto di rimettere in circolazione
le opere di Rocco Carbone, di dar loro nuovi lettori; disegno principiato dalla ripubblicazione de L’assedio, in cui nella misteriosa città di R. – il classico mondo non
determinato, generico e universale dei romanzi dello scrittore nato a Reggio –
il cielo diventa di colpo giallognolo e comincia a liberare una fitta pioggia
di sabbia che lascia perplessi i suoi abitanti; un romanzo distopico ma coi
piedi saldi sulla realtà e che parla a noi uomini contemporanei. Il prossimo testo in cantiere è Il
comando, edito
la prima volta nel 1996 per i tipi di Feltrinelli.
I primi scritti
Ultimata la
prima fase di studi con una tesi di laurea incentrata sull’analisi semiologica,
del mito e del romanzo, nell’86 Carbone riuscì a dare alle stampe la sua prima
pubblicazione: Mito/romanzo. Semiotica del mito e narratologia.
Dopodiché proseguì i suoi studi di semiotica dei testi
letterari, ovverosia delle leggi che orientano il romanzo, con un dottorato
a Parigi concluso con una tesi sullo scrittore e
letterato Alberto Savinio (al secolo Andrea de Chirico, fratello
minore del pittore Giorgio de Chirico).
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L'ingresso del carcere di Rebibbia |
Rocco Carbone
si avvicinò alla letteratura con dei versi presentati sulla insigne
rivista Nuovi Argomenti. Oltre che su Nuovi Argomenti,
scrisse per quotidiani come Repubblica, L’Unità e Il
Messaggero. Negli anni pubblicò numerosi saggi fin quando, dal
1998, prese la decisione di insegnare al carcere di Rebibbia. Una
esperienza intensa che si riverberò nella sua opera, un mondo letterario già
caratterizzato dagli echi di maestri quali Jack London, Yasunari Kawabata
(Nobel per la Letteratura nel 1968) e Patrick Leigh Fermor, ma anche Alberto
Moravia, Carlo Emilio Gadda e Romano Bilenchi, autentici numi tutelari di
Carbone.
La scrittura rigida di Rocco Carbone
Dai lavori di
Carbone emerge una scrittura controllata, scrupolosa, testarda,
uniforme e per nulla emotiva, da cui non traspare alcuna emozione; una
scrittura lungi da eccessi e dall’adottare artifizi, anche mentre affronta i
temi più angosciosi; fulminea e atemporale, quella del calabrese è una
scrittura che valica le barriere del tempo, obiettivi che spesso non vengono
neppure lontanamente presi in considerazione da tanta narrativa contemporanea.
Non rincorreva
le mode Carbone; la sua prosa scarna, disadorna, tutt’altro che ampollosa e straboccante
di lemmi, percorreva altre strade rispetto a quelle in voga al tempo dei suoi
titoli d’esordio. E questo certosino lavoro di sottrazione ed
epurazione dei suoi scritti, fece di Rocco Carbone uno scrittore pienamente
novecentesco anziché esponente della letteratura del secolo seguente, entro cui
pubblicò gli ultimi suoi libri: L’apparizione (2002) e Libera
i miei nemici (2005). Usciranno poi postumi Per il
tuo bene – testo cui stava lavorando al momento del tragico incidente
– e Il padre americano.
La sua era «una lingua totalmente scritta», afferma Emanuele
Trevi in Due
vite, lettura essenziale per cercare di penetrare nell’animo
enigmatico di Rocco Carbone, per metterne a fuoco alcuni aspetti. All’inizio
della loro amicizia durata per un quarto di secolo, Trevi e Carbone
frequentavano i circoli letterari romani, trascorrevano le serate per le vie
della Capitale, presi a districarsi nella sua «ostentata e finta frivolezza» in
cerca di avventure, di storie, di spunti che stimolassero la loro arte.
Un’altra amicizia duratura fu quella con Edoardo
Albinati, saggista, scrittore e redattore di Nuovi
Argomenti al tempo della conoscenza con Carbone. L’autore de La scuola
cattolica – libro vincitore dello Strega nel 2016 – sostiene
che «Carbone era uno scrittore antiretorico», un artista della parola capace di portare il
lettore nel discorso, nel cuore della storia raccontata, non di allontanarlo da
essa innalzando una barriera.
Il male di vivere di Rocco Carbone
La scrittura
di Rocco Carbone era senza dubbio indirizzata dalle sue inquietudini,
dai suoi arcani demoni; le sue «furie», come le chiama Trevi.
Carbone riservava soltanto alle persone più vicine il suo lato più socievole,
mostrava loro il piacere di stare in compagnia, segnale di un uomo desideroso
di quella serenità che potesse attenuare la sua irreversibile cupezza,
il suo carattere introverso che non veniva affatto mitigato dal successo
contenuto dei suoi libri – perlomeno non conforme alle elevate
ambizioni dell’autore.
«Nella storia
mondiale della letteratura – scrive sempre Trevi che, nelle pagine del
citato Due vite, marca invece la parziale infondatezza dello
scontento editoriale dell’amico –, è difficile immaginare qualcuno che
abbia preso ogni aspetto del lavoro di traverso come Rocco, dalle copertine
alle vendite, dalla qualità delle recensioni ai rapporti con gli editori».
Lui riusciva a essere critico verso i suoi lavori fino all’eccesso, ma
non poteva soffrire che essi non venissero riconosciuti dai lettori e dalla
stampa.
«Nella storia
mondiale della letteratura – scrive sempre Trevi che, nelle pagine del
citato Due vite, marca invece la parziale infondatezza dello
scontento editoriale dell’amico –, è difficile immaginare qualcuno che abbia
preso ogni aspetto del lavoro di traverso come Rocco, dalle copertine alle
vendite, dalla qualità delle recensioni ai rapporti con gli editori». Lui riusciva
a essere critico verso i suoi lavori fino all’eccesso, ma non poteva soffrire
che essi non venissero riconosciuti dai lettori e dalla stampa.
«Nella storia
mondiale della letteratura – scrive sempre Trevi che, nelle pagine del
citato Due vite, marca invece la parziale infondatezza dello
scontento editoriale dell’amico –, è difficile immaginare qualcuno che
abbia preso ogni aspetto del lavoro di traverso come Rocco, dalle copertine
alle vendite, dalla qualità delle recensioni ai rapporti con gli editori».
Lui riusciva a essere critico verso i suoi lavori fino all’eccesso, ma
non poteva soffrire che essi non venissero riconosciuti dai lettori e dalla
stampa.
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Trevi si aggiudica lo Strega 2021 col suo libro su Rocco Carbone
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Rocco Carbone e le donne
Un altro
ingrediente che gli risultò tossico fu la passione per le donne,
che Carbone amava con tutto se stesso. Cciò lo conduceva nelle spire buie di
quella primordiale possessività tanto tipica negli uomini del
Sud. Contrasse matrimonio relativamente giovane con Samantha Traxler,
col trascorrere delle stagioni spesso lo colsero violenti febbroni da
innamoramento, ma in generale le sue relazioni non godettero mai di quella
serenità che ci si augura possa portare con sé un amore.
L’irrequietezza
sentimentale finiva per corrompere ogni altro aspetto delle sue giornate, già
irrimediabilmente segnate da quell’infelicità cronica, quella «orrenda e
inutile succhiasangue» che ne prosciugava l’esistenza. A Rocco Carbone
diagnosticarono una personalità bipolare, la capacità non sana di passare con
disinvoltura da una incontenibile felicità a una acuta mestizia e che
appesantiva il suo male interiore, il suo profondo imbarazzo di vivere.
In pace sotto un ulivo
Un’esistenza
artistica e tragica, breve e infelice, diversamente dal Francis Macomber dei racconti di
Hemingway, che trovava requie soltanto nell’appartamento spartano di
via Lorenzo Valla in cui viveva, a Monteverde Vecchio, quartiere romano di
suggestive viuzze e scalinate e villini d’ispirazione liberty sul lato
occidentale del colle del Gianicolo. Anche il lavoro nel carcere di Rebibbia forse ne rasserenò lo spirito, rese più
sostenibile quell’attesa di qualcosa che ne coronasse il lavoro letterario,
tutti gli sforzi di una vita, ché, citando Cesare Pavese, «aspettare è ancora
un’occupazione», ma è quando non si attende più nulla «che è terribile».
Quel riconoscimento,
però, non arriverà mai. L’attesa rimase insoddisfatta sino all’ultima notte, a
quello scontro fatale che archiviò come insoluto il rebus Carbone,
“condannando” noi lettori a perdere per sempre la trebisonda fra le pagine
della sua opera.
Sul luogo dell’incidente oggi sorge un ulivo, pianta endemica della
terra natale dello scrittore, simbolo di speranza, pace, forza, amicizia e
unione. Ai piedi dell’albero, in grado di resistere alle intemperie,
tenace e cocciuto proprio come Rocco Carbone, si incontrano con regolarità le
persone che gli hanno voluto bene.
da
" I Calabresi " dell'11 ottobre 2023.