Hamilton (Ontario) |
Da
Delianuova a Hamilton, Canada: la parabola della “mafia italiana”
La
quarta città più popolosa del Canada è un laboratorio criminale: tra faide e
affari la criminalità organizzata si fa sempre più “liquida” e dai contorni più
sfumati
13 Ottobre 2021
dii Alessandro Boldini
L’ultima relazione semestrale della
Direzione investigativa antimafia (Dia), riferita al periodo luglio-dicembre
2020, ad esempio, nel descrivere la situazione canadese cita uno dei numerosi
episodi della lunga epidemia di violenza che negli ultimi anni ha imperversato
nella regione dell’Ontario. Si tratta dell’omicidio di Pasquale Musitano, detto
«Fat Pat», rimasto vittima di un agguato appena sceso dal suo fuoristrada
blindato nel parcheggio di un centro commerciale a Burlington, centro di oltre
duecentomila abitanti sulla sponda Ovest del lago Ontario.
La
relazione della Dia
di Giacomo Pirrone
È stata pubblicata lo scorso 22
settembre la relazione del Ministero
dell’Interno al Parlamento sulle attività della Direzione investigativa
antimafia per il secondo semestre del 2020. Il periodo preso in esame è quindi
quello immediatamente successivo al primo e più esteso lockdown per contrastare gli effetti della
pandemia da Covid-19. Una fase caratterizzata da un contesto di crisi economica
generalizzata, particolarmente grave soprattutto per il settore terziario,
colpito da lunghe chiusure e riaperture a intermittenza.
In questo contesto, riporta la Dia, le
varie organizzazioni criminali di stampo mafioso hanno confermato una tendenza
alla sommersione che si osserva da anni: un ricorso sempre meno frequente alla
violenza, sostituito da strategie più subdole che puntano all’infiltrazione nel
tessuto socio-economico dei territori di appartenenza e alla creazione di un
welfare parallelo a quello statale che approfitta delle situazioni di crisi
economica. Inoltre, i gruppi criminali dimostrano una grande velocità e
flessibilità nel cambiare le proprie strategie per adattarle alle nuove
tendenze sociali e tecnologiche; lo dimostrano l’uso sempre più frequente di
criptovalute per le proprie transazioni e la diversificazione dei propri affari
per approfittare dei finanziamenti pubblici stanziati per l’emergenza.
La ‘ndrangheta calabrese, scrivono gli
uomini della Dia, mostra una forte vocazione imprenditoriale, che si avvale dei
fondi ricavati dal narcotraffico – in primis cocaina
– e dell’aiuto di una cosiddetta “area grigia” di professionisti, imprenditori
e amministratori corrotti che collaborano con le cosche senza farne parte
attivamente. Gli affari delle ‘ndrine si spingono su tutto il territorio
nazionale, in particolare in Emilia-Romagna, Liguria e Lombardia. Pur
conservando una struttura unitaria e molto organizzata, la mafia calabrese
sembra meno impermeabile che in passato con diversi casi di collaboratori di
giustizia. In Sicilia, cosa nostra conserva il proprio ruolo preminente nella
regione convivendo e talvolta collaborando con la Stidda, associazione di
gruppi organizzati orizzontalmente presente soprattutto nell’area
centro-orientale. Anche qui si cerca di infiltrarsi nei settori più coinvolti
dai contributi pubblici, come quello delle energie rinnovabili. C’è inoltre un
interesse crescente verso il gioco d’azzardo, usato come mezzo di riciclaggio.
Anche i clan della
Camorra mostrano una spiccata attitudine all’imprenditorialità, con casi di
coincidenza tra leadership criminale e management imprenditoriale. Questi gruppi sono
molto eterogenei fra loro per strutture e modalità operative; questa
eterogeneità porta a una forte flessibilità e capacità rigenerativa, ma causa
anche rapporti instabili tra i clan che alternano periodi di conflittualità e
alleanza in funzione degli interessi del momento. Anche la Puglia conferma
tendenze già viste in precedenza: in particolare, la mafia pugliese è quella
più incline a conflittualità interne. Ciò – chiude il rapporto della Dia –
sarebbe causato dal perdurare delle condizioni detentive di molti leader
storici e dal conseguente tentativo delle nuove leve di scalare le gerarchie.
Particolarmente rilevante è il contesto foggiano, dove le consorterie mostrano
una grande duttilità nei contesti economico-finanziari. Sul territorio
nazionale sono inoltre presenti gruppi criminali etnici, eterogenei per origini
e interessi. Se al centro-nord questi gruppi riescono a costruirsi una propria
autonomia e talvolta un’egemonia in settori specifici, nelle regioni
meridionali agiscono con l’assenso delle mafie locali, quando non direttamente
in subordine.
Il 52enne, scrive la Dia, è «un soggetto
ritenuto esponente di spicco di una famiglia di ’ndrangheta originaria di
Delianuova e trapiantata in Canada». Eppure gli studi e le inchieste sembrano
suggerire tutt’altro. Tanto che la dottoressa Anna Sergi, criminologa
dell’Università dell’Essex, nel commentare il paragrafo dedicato all’omicidio
di Fat Pat ha segnalato l’«errore nell’ultima relazione della Direzione
Investigativa Antimafia», dove «si indica la famiglia (Musitano, ndr) come clan di ’ndrangheta. Questi errori confondono
ancora di più il panorama confuso della mobilità mafiosa». Sergi fa infatti
riferimento all’estrema mobilità dei clan della zona, in particolare della
città di Hamilton, dove tutti confluiscono sotto il generico cappello della
«mafia italiana».
Lo sbarco in «Canadà»
Un milieu criminale dove regna l’ibridismo, tanto che i confini tra ’ndrangheta e cosa nostra sembrano quasi fondersi fra loro. Ne è un esempio la storia del clan Musitano, che – insieme ad altre due famiglie calabresi, i Papalia e i Luppino-Violi – per decenni ha dominato su un’area della quarta città più popolosa di tutto l’Ontario. Per comandare a lungo, però, bisogna scendere a compromessi. Che in alcuni casi significa perfino mettere da parte le proprie «ingombranti» origini e schierarsi al fianco di chi di volta in volta ha il potere in mano. La presenza dei Musitano ad Hamilton è documentata fin dagli anni Trenta. Il capostipite del casato è Angelo Musitano, «la bestia di Delianuova», che nel 1938 fugge dalla provincia di Reggio Calabria alla volta di quel Paese lontano che i giornali dell’epoca chiamano ancora «Canadà».
L’evento scatenante è l’omicidio della sorella Rosa, commesso (a Delianuova) un anno prima : Musitano, appena uscito dal carcere, scopre che la donna – da poco vedova – è rimasta incinta di un altro uomo. Una macchia per l’onore della famiglia che va ripulita con il sangue. Musitano uccide infatti la sorella e poi trascina il cadavere per le vie del paese fino alla casa dell’amante. Ancora in attesa di processo l’uomo fa perdere le proprie tracce e ripara ad Hamilton. Qui vive per quasi trent’anni sotto falso nome, Jim D’Augustino, e per sopravvivere si dedica ai mestieri più disparati: sarto, meccanico, imbianchino.
Nel 1940 Musitano viene condannato in contumacia a 30 anni di carcere e iniziano così le ricerche anche in campo internazionale. La svolta arriva soltanto nel 1963, quando anche l’Interpol si mette sulle sue tracce dopo aver ricevuto una segnalazione e una vecchia fotografia di trent’anni prima. Sarà proprio quello scatto in bianco e nero e dai contorni ingialliti a farlo finire in trappola. Il 3 marzo 1965, infatti, gli agenti che da mesi lo stavano pedinando riescono ad arrestarlo. Al momento dell’arresto Musitano non nega le accuse, ma stenta a riconoscersi nella foto che gli investigatori gli mostrano. Per lui arriva quindi il momento del ritorno in patria con l’estradizione.
La dinastia criminale
Ormai, però, la stirpe criminale ha già
messo radici. Nei ventisette anni di vita trascorsi ad Hamilton, Musitano
riesce a metter su famiglia e dà una mano a crescere i figli del fratello. A
portare avanti la dinastia ci pensano infatti i nipoti, Anthony e Dominic
Musitano. È grazie a loro che a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta il nome
dei Musitano si fa largo nel panorama criminale canadese assumendo un ruolo di
primo piano, sapendo al contempo esercitare quel «fascino» mafioso che ha
sempre tanto appeal sui giovani. Tony è uno
di quei personaggi che fa parlare di sé con estrema facilità: a colpire è
soprattutto il suo senso dello humor nero come
la pece, capace di spezzare le smorfie del viso a metà tra un sorriso e un velo
di timore.
La dinastia dei
Musitano
Nel gennaio del 1983 viene condannato a
15 anni di carcere per una serie di attentati esplosivi contro alcune attività
commerciali per la gestione del racket ad Hamilton, che in quel periodo viene ribattezzata
“Bomb City”.
Mentre è in carcere pianifica – insieme
al fratello Dominic e altri – l’omicidio di Domenic Racco, uno dei boss più in
vista del Siderno Group, avamposto ’ndranghetista attivo nella GTA, la Great
Toronto Area. In ballo ci sono gli affari con il traffico di droga e un debito
da circa mezzo milione non onorato da Racco. Tanto basta per attirarlo in una
trappola e farlo fuori, senza paura di mettersi contro altri compari calabresi.
Con Tony dietro le sbarre, il ruolo di
comando spetta a Dominic, che indirizza il business di famiglia verso il gioco
d’azzardo illegale. Nel 1992, un rapporto del dipartimento di polizia di
Hamilton-Wentworth stima che i guadagni dei Musitano si aggirino attorno ai 14
milioni di dollari all’anno. Dominic Musitano fa del carisma la sua arma
vincente e contribuisce a costruire un immaginario. Così le cronache raccontano
delle oltre mille persone che il giorno del suo funerale popolavano le strade
di Hamilton per seguire la veglia funebre.
Dominic muore per un arresto cardiaco all’età di 56 anni, mentre Tony morirà molti anni più tardi, nell’aprile 2019, dopo aver trascorso l’ultimo periodo della sua vita da boss in pensione.
Il Siderno Group///
Per Siderno Group, o
Crimine di Siderno, s’intende il gruppo di famiglie calabresi affiliate alla
’ndrangheta presente nella GTA, la Great Toronto Area, in Canada. Insieme alle
camere di controllo della Lombardia, della Liguria e ai tre mandamenti
calabresi (Ionica, Tirrenica e Città), rappresenta la sovrastruttura che
coordina le attività delle ’ndrine canadesi e risponde direttamente al Crimine
reggino. Il nome del Siderno Group si deve a un’intuizione investigativa degli
inquirenti italiani, i quali – nell’omonima operazione del 1992 – hanno
ricostruito le attività di una serie di famiglie trapiantate da decenni in
Canada ma originarie di Siderno e di città della Locride come Gioiosa Ionica e
Marina di Gioiosa Ionica.
I clan attivi nella
regione canadese dell’Ontario, secondo gli esperti, non hanno di fatto mai reciso
i legami con la «madre patria» calabrese e, come rivelano le inchieste
giudiziarie, sono impegnati principalmente in attività illecite come il
narcotraffico e il riciclaggio di denaro sporco. La ’ndrina di riferimento
all’interno del Siderno Group è quella dei Commisso, detti «quagghia», che già
negli anni ’80 gestivano alcune fra le principali rotte del traffico di eroina
prima, e di cocaina poi, sull’asse New York-Toronto-Calabria.
Le redini passano così in mano ai figli
di Dominic, Angelo «Ang» e Pasquale, detto «Fat Pat». Gli ordini partono da
Pat, il fratello maggiore, colui che meglio incarna l’immagine del gangster
lasciata dal padre. A dimostrazione della liquidità mafiosa della famiglia
Musitano troviamo due episodi specifici. Il primo, nel 1997, l’omicidio di uno
dei boss più importanti dell’epoca: Johnny «Pops» Papalia, fatto fuori insieme
al suo braccio destro Carmine Barillaro proprio su ordine dei Musitano. A
dispetto dalle sue origini calabresi (di Delianuova) Papalia – dopo la collaborazione
con il contrabbandiere platiese Rocco Perri – si afferma a partire dagli anni
Cinquanta come esponente di spicco del braccio canadese della famiglia di
Buffalo, guidata da Stefano Maggadino.
I Musitano hanno un debito con Papalia
di 250 mila dollari per un giro di scommesse in cui sono coinvolti. E decidono
che piuttosto che estinguere il debito è meglio risolvere il problema alla
radice, eliminando Pops e preparandosi ad affrontare una faida da cui
difficilmente potranno uscire vincitori. Ma i Musitano ci riescono, grazie a
uno strano gioco di alleanze che li porta a cercare e trovare la sponda delle
principali famiglie di cosa nostra a Montréal, i Cuntrera Caruana e i
potentissimi Rizzuto. L’appiattimento dei calabresi sui siciliani è ormai
definitivo. Nel 2000, incastrati dal killer da loro stessi ingaggiato, i
fratelli Musitano patteggiano 10 anni per l’omicidio Barillaro e in cambio
vengono fatte cadere le accuse per altri due casi, compreso quello di Papalia.
La scia di sangue
L’omicidio di Johnny Papalia segna però uno spartiacque nella storia criminale di Hamilton, della quale non mancano strascichi ancora oggi. Come raccontano alcune fonti qualificate, capita infatti che durante gli intervalli a scuola tra i ragazzini emerga quella vecchia storiaccia della guerra fra i Musitano e i Papalia e, anche se le parentele con i protagonisti degli eventi siano distanti anni luce, le discussioni finiscano in rissa. Oppure succede che, per «sbeffeggiare» i rivali, su alcuni canali YouTube vengano caricati dei gameplay di un popolare videogioco, Grand Theft Auto, in cui si simulano spedizioni punitive e agguati mortali ai danni di esponenti della famiglia Musitano.
Il messaggio è inequivocabile: «Questa è
la fine che meritate». Negli ambienti giudiziari canadesi si vocifera anche che
lo spettro della vendetta per l’omicidio Papalia aleggi sui più recenti fatti
di cronaca che hanno riguardato (e di fatto sterminato) la famiglia Musitano.
Il 2 maggio 2017 viene ammazzato sul vialetto di casa Ang Musitano, 39 anni.
Due componenti del commando di fuoco – Michael Graham Cudmore e Daniele Ranieri
– sono stati ritrovati morti nel deserto del Messico. E le autorità sospettano
che sempre in Messico trascorra la sua latitanza l’ultimo dei sospettati, Daniel
Mario Tomassetti, a cui dà la caccia anche l’Interpol.
Poco più di tre anni dopo, il 10 luglio 2020, come ricorda la Dia, tocca invece a Fat Pat. Scrupoloso in ogni azione, viaggia sempre a bordo del suo suv blindato. Non è mai solo, ma i killer riescono a freddarlo in uno dei rarissimi momenti in cui abbassa la guardia. L’omicidio di Pasquale Musitano ha un’eco che arriva perfino oltreoceano, soprattutto per la caratura del personaggio. «Era Tony Soprano prima ancora che Tony Soprano fosse in televisione», dirà un ex sergente della polizia di Hamilton commentando la morte del gangster-boss amante dei cappotti di pelle e degli occhiali scuri. Per il suo omicidio i sospettati sono cinque, tutti apparentemente lontani dall’«underworld».
Pasquale Musitano |
Quasi certamente, però, l’inchiesta
della polizia canadese non porterà mai alla scoperta dei mandanti né del
movente: a gestirla è infatti la squadra omicidi, che punta ad assicurare
quanto prima i killer alla giustizia, mentre gli investigatori specializzati in
criminalità organizzata premono affinché si allarghi il raggio d’azione proprio
come avviene nelle più complesse indagini italiane. Ma il caso non è di loro
competenza.
Tra le voci che girano c’è quella di un
coinvolgimento di una famiglia emergente, gli Iavarone, forse stanchi della
vita da «portaborse» dei Musitano e capaci di sfruttare a proprio vantaggio il
momento di massimo declino degli storici alleati. Una sorta di gioco al
massacro tra clan fragili dove chi la spunta ne esce moribondo. Negli ambienti
della malavita e tra i ben informati si dice che prima di vestire il
doppiopetto per buttarsi nel business, gli Iavarone stiano aspettando l’uscita
dal carcere di Domenico «Dom» Violi, reggente dell’ultimo dei tre storici
gruppi rimasto ad Hamilton, il clan calabrese Luppino-Violi, nonché sospettato
di essere il primo canadese con la dote di «underboss» per conto di una
famiglia di cosa nostra americana, i Todaro di Buffalo. Ma questa è tutta
un’altra storia.